Andrea Muratori per Insideover, 7 maggio 2022
ADESSO LO DICONO ANCHE I DATI: A SOFFRIRE DI PIU' PER L'EMBARGO AL GAS RUSSO SARANNO ITALIA E GERMANIA - L'IMPATTO SUL PIL POTREBBE VARIARE DI 0,8 PUNTI PERCENTUALI NEL 2022 E 1,1 PUNTI NEL 2023 - UNO SHOCK CHE IN CONCRETO SIGNIFICA LA PERDITA DI 293 MILA POSTI DI LAVORO QUEST'ANNO E ALTRI 272 MILA L'ANNO PROSSIMO - ANCHE BERLINO RISCHIA DI SCIVOLARE IN UNA "ACUTA RECESSIONE", MENTRE LA FRANCIA... -
Italia e Germania sono le nazioni che patirebbero maggiormente un embargo al gas russo, mentre la Francia, complice la minore dipendenza, si trova in una situazione per ora favorevole. Questo dato politico noto da tempo comincia nelle ultime settimane ad essere suffragato da dati e analisi.
Un embargo immediato delle forniture di oro blu dalla Russia imporrebbe una perdita di quasi un milione di posti di lavoro nelle due principali economie manifatturiere europee, con effetti a cascata sull’intero Vecchio Continente. E questo significa che Bruxelles deve valutare con attenzione le sue mosse prima di scegliere se compiere il salto nel buio.
Il Documento di Economia e Finanza del governo Draghi in vista della manovra 2022 valuta che un eventuale blocco dell’export di gas e petrolio da parte della Russia fino a fine 2022, farebbe schizzare i prezzi energetici ben al di sopra di ora, con un impatto sul Pil che potrebbe variare da 0,8 punti percentuali nel 2022 e 1,1 punti nel 2023 a 2,3 punti nel 2022 e 1,9 nel 2023.
«Avremmo trimestri con segno negativo, con un crollo del Pil nella seconda metà di quest’anno del 2,5%», nota Milena Gabanelli nella sua Dataroom. «Uno shock che comporta la perdita di 1,3 punti percentuali di occupazione nel 2022 e di 1,2 punti nel 2023. In concreto: circa 293 mila perderebbero il posto di lavoro quest’anno, e altri 272 mila l’anno prossimo», per un totale di 565mila inoccupati.
Si tratterebbe principalmente delle persone dipendenti dai settori più energivori su cui il gas impatterebbe, con rincari previsti da 100 a 220 euro al megawattora. E dato che il 45% dell’elettricità italiana arriva da centrali che per funzionare utilizzano questo combustibile, il timore di un effetto farfalla non è da escludere.
In caso di stop all’import di gas russo anche la Germania scivolerà in una «acuta recessione» nel 2023, nel caso di uno stop improvviso all’import di gas russo, secondo quanto hanno comunicato ad aprile i cinque principali istituti economici tedeschi (Diw, Ifo, Ifw, Iwh, Rwi), presentando a Berlino, le stime di primavera. Il rapporto, nota Il Fatto Quotidiano, sottolinea «che un’interruzione immediata delle forniture energetiche russe potrebbe mettere a rischio 220 miliardi di euro di produzione economica nel 2022 e nel 2023 mettendo a rischio circa 400mila posti di lavoro».
Ma questa è solo una dimensione “lineare” del problema. Pensiamo agli shock sistemici trasversali. Ad esempio all’integrazione tra i sistemi industriali di Italia e Germania, profondamente connessi. O al fatto che, come ricorda Le Grand Continent, buona parte dei Paesi su cui insiste la piattaforma industriale di Berlino, soprattutto nell’automobile, siano dipendenti dal gas russo.
La Polonia, recentemente messa sotto embargo, ne riceve il 55%, l’Austria l’80%, l’Ungheria il 78%, la Repubblica Ceca il 53%. Al contrario la Francia riceve solo tra un quinto e un quarto della propria fornitura da Mosca e la principale fonte di gas francese era la Norvegia, che ne forniva il 35%.
La minor dipendenza di Parigi dalla rete infrastrutturale che trasporta il gas russo in Europa le consente, al contempo, di essere più elastica con la sostituzione: dalla Norvegia al Gnl, ogni opzione è valida. E resta sul campo l’ipotesi di ampliare l’utilizzo del nucleare. Per questo Emmanuel Macron ha potuto mirare con forza al preciso obiettivo di abbattere i rincari delle bollette ai cittadini e alle imprese focalizzando su quel campo la risposta alla crisi energetica.
Per Italia e Germania invece il rischio di un disastro produttivo è concreto. Questo per la difficoltà nella costruzione delle scorte, per la dipendenza dei sistemi produttivi da catene del valore complesse, per la natura di “piattaforma di trasformazione” delle due economie, fermate dal doppio vincolo della carenza di materie prime a monte e dalla dipendenza dall’export a valle. Segno che anche gli effetti indiretti dei rincari, costi di trasporto in primis, possono impattare nel conto della crisi energetica in caso di disruption delle forniture da Mosca.
Per chiare ragioni geografiche di distanza dalla Russia, infine, anche Spagna e Portogallo sono pressoché intatte di fronte a ogni ipotesi di possibile embargo. Inoltre, la penisola iberica è un vero e proprio hub per i terminali di importazione di gas naturale liquefatto e questo potrebbe favorirle in prospettiva. Con lungimiranza e visione di prospettiva, i governi di Pedro Sanchez e Antonio Costa sono già passati allo step successivo: negoziare con l’Unione Europea per il tetto generalizzato ai prezzi nel mercato interno, rifornito soprattutto dal gas algerino.
Stupisce che l’Italia non si sia mossa anzitempo per portare all’incasso un risultato del genere, vista la maggiore esposizione e gli scenari catastrofici. Ma di fronte alla prospettiva di vedere un milione di posti di lavoro sfumare e altri venir messi a rischio nel prossimo anno e mezzo, è possibile che tra Italia e Germania si crei, nelle prossime settimane, la strategia di un calmiere concordato che consenta di evitare il salto nel buio di un embargo che nessuno, né l’Europa né la Russia, potrebbe ad oggi permettersi.