La Stampa, 7 maggio 2022
Bielorussia, attacco alla ferrovia
Gli scolari bielorussi di solito leggono nei libri di storia cosa è stata la “guerra ferroviaria”. E scoprono che si trattava di un’azione, parte della lotta partigiana bielorussa, finalizzata alla distruzione massiccia delle ferrovie, al fine di interrompere il trasporto militare tedesco. Ottant’anni dopo, la “guerra ferroviaria” è tornata in Bielorussia, non solo nelle lezioni di storia, ma anche nei telegiornali della sera.
Notizie dal fronte: almeno 48 detenuti (molti sono stati poi rilasciati, essendo stati arrestati con l’accusa un po’ fragile di “iscrizione al canale Telgram dei ferrovieri"), due feriti gravi, 4 dispositivi di automazione e telemeccanica del sistema di segnalamento disabilitati, 9 cabine di collegamento bruciate sulle linee ferroviarie, 6 trasformatori di segnale smantellati, e 2 attacchi informatici alla rete interna delle Ferrovie Bielorusse. Ma questi sono i numeri ufficiali. Il numero effettivo di sabotaggi è ancora sconosciuto. In ogni caso, il ministero dell’Interno parla di oltre 80 «attentati terroristici»: è così infatti che le forze di sicurezza bielorusse definiscono la disabilitazione dei dispositivi di segnalazione, pur senza fornire altri dettagli.
L’inizio delle ostilità di questa nuova guerra partigiana è datato 26 febbraio (e nel silenzio generale continua ancora oggi). È stato allora infatti che sulla linea Talka-Vereytsy (piccole cittadine a sud di Minsk, ndr) è stato disabilitato il dispositivo di automazione e di telemeccanica del sistema di segnalazione e sicurezza. E il giorno successivo, la rete interna delle Ferrovie bielorusse è stata oggetto di un grave attacco informatico. Permettetemi di ricordarvi che quel giorno si è tenuto in Bielorussia un referendum su un emendamento della Costituzione voluto da Alexander Lukashenko (e a suo favore). Ma poiché l’offensiva delle truppe russe in Ucraina era in corso da diversi giorni, nessuno ha prestato attenzione al referendum bielorusso, ad eccezione dei “cyber partigiani”, che hanno rivendicato la paternità dell’attacco. Lo hanno preparato e messo a segno proprio per “disturbare” il referendum. La coincidenza dei tempi tuttavia – con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ha fatto sì che venisse identificato come un’azione della “guerra ferroviaria”, e non come presa di posizione contro il referendum. I partigiani digitali infatti erano attivi ben prima di allora: il primo attacco informatico alla rete delle ferrovie bielorusse risaliva al 26 gennaio scorso, e nella rivendicazione si accusava Lukashenko di aver lasciato che «le truppe occupanti (russe, ndr) entrassero nella nostra terra». In quel caso si è trattato di un attacco simulato: non aveva intaccato i sistemi di sicurezza e automazione, ma solo crittografato la maggior parte dei server e dei database.
L’attacco di febbraio è stato su scala molto maggiore. I cyber guerriglieri hanno disabilitato la rete interna delle Ferrovie Bielorusse e neutralizzato il complesso hardware e software Neman, che, di fatto, controlla la circolazione dei treni, e che da quel momento in poi si sarebbe potuta gestire solo manualmente. Già il 28 febbraio si erano formate enormi code alle biglietterie ferroviarie, poiché i servizi online non funzionavano, e per ripristinare il sistema ci sono volute due settimane. La notte dello stesso giorno, le centraline di controllo nelle stazioni bielorusse di Gomel e Baranovichi sono state bruciate. E si trattava esattamente delle posizioni su cui si stavano muovendo i militari russi. Quando le centraline si guastano, né gli interruttori né i semafori funzionano: le stazioni passano al controllo “manuale” e i treni possono muoversi a una velocità non superiore a 20 chilometri orari. I “partigiani ferroviari” della seconda guerra mondiale non avevano avuto simili opportunità.
Il 1° marzo, Sergei e Yekaterina Glebko, marito e moglie, sono stati arrestati a Stolbtsy. Non erano stati loro ad aver incendiato le centraline, ma avevano messo dei tronchi sui binari della ferrovia e poi gli avevano dato fuoco. In serata, i canali di Telegram controllati dallo stato hanno pubblicato un video in cui Sergey Glebko, duramente picchiato, si pentiva pubblicamente del suo gesto. I coniugi sono stati accusati ai sensi dell’articolo 289 del codice penale bielorusso per “atto di terrorismo”.
Le detenzioni si sono susseguite: a Osipovichi, Alexey Shishkovets; a Svetlogorsk, Dmitry e Natalya Ravichi, Denis Dikun e Alisa Malanova; a Vitebsk, Sergey Konovalov; a Bobruisk, Evgeny Minkevich, Vladimir Avramtsev e Dmitry Klimov. A proposito di Shishkovets, uno degli arrestati, nel canale Telegram del Ministero degli Affari interni è stato scritto che «si era unito a una formazione estremista, dopo aver effettuato l’accesso a un chatbot di mobilitazione per commettere azioni illegali in Bielorussia» e che il primo marzo aveva ricevuto istruzioni per bloccare le linee ferroviarie e costruire delle molotov. Ma poiché l’intera accusa si basava sul fatto che presumibilmente «lo avrebbe fatto, ma non ha avuto tempo», l’accusa non è stata «terrorismo», ma «partecipazione a una formazione estremista». Cioè, Shishkovets rischia da tre a sette anni di prigione e i coniugi Glebko da otto a venti. I tronchi valgono di più, evidentemente.
Anche Denis Dikun, di Svetlogorsk, è apparso nei canali Telegram delle forze di sicurezza bielorusse in un video di scuse. Come Sergei Glebko, era stato duramente picchiato. L’occhio sinistro era talmente gonfio da essere divenuto quasi invisibile. Ma almeno Dikun era cosciente e parlava. Altri arrestati sono stati mostrati sui canali televisivi bielorussi quando erano privi di sensi, sanguinanti, riversi.
Alla fine di marzo i canali della televisione di Stato hanno mandato in onda le riprese dei feriti in un’operazione che ha fatto molto rumore. Davanti ai giornalisti, le forze di sicurezza hanno illustrato l’operazione senza lesinare particolari: «Questi sono quegli abitanti di Bobruisk che hanno bruciato le centraline vicino a Osipovichi, sono stati arrestati pochi giorni dopo mentre stavano preparando un altro attacco terroristico, e le forze speciali hanno sparato per ucciderli». Secondo il viceministro dell’Interno Gennady Kazakevich, le forze speciali bielorusse sono state tuttavia così professionali che pur avendo ricevuto l’ordine di uccidere, hanno lavorato «con delicatezza»: due dei tre detenuti sono in terapia intensiva, ma sopravviveranno. Sono stati colpiti alle ginocchia, ma grazie alla professionalità dei tiratori scelti, non sono morti dissanguati. Su YouTube, dove i canali statali hanno pubblicato la loro versione sulla sparatoria, il video compare con l’indicazione «il contenuto contiene materiali che potrebbero spaventare o scioccare alcuni utenti». Ma in Bielorussia il contenuto è stato mostrato in TV al mattino, alla sera e al pomeriggio, con i commenti di vari funzionari della sicurezza e propagandisti.
Tra i “terroristi” ci sono tre residenti di Bobruisk: l’autista dell’ambulanza Yevgeny Minkevich, lo sportivo Vladimir Avramtsev e il tassista Dmitry Klimov. Pochi giorni dopo, un altro “terrorista” di Vitebsk è stato aggiunto ai “terroristi” di Bobruisk: Sergey Konovalov, un impiegato del dipartimento di segnalazione e comunicazione delle ferrovie bielorusse. Il canale Telegram della comunità dei ferrovieri bielorussi ha riferito che Konovalov è stato arrestato su denuncia di un ideologo locale, con il quale è entrato in conflitto. E l’ideologo (sì, in Bielorussia esiste il vice capo del Dipartimento di Segnalazione e Comunicazione per l’Ideologia) ha detto al KGB che Konovalov stava presumibilmente preparando un atto terroristico. È bastato a trasformarlo in terrorista a tutti gli effetti.
Tuttavia, il sabotaggio sulla ferrovia è continuato anche dopo i video sanguinosi sugli schermi televisivi. A metà marzo, le centraline di collegamento sono state disabilitate a Domanovo-Lesnaya, nella regione di Brest, e a Fironovo-Zagatya, nella regione di Vitebsk, e sei trasformatori di segnale sono stati rubati alla stazione di Orsha-Central. Il 19 marzo pattuglie delle truppe interne sono arrivate ai binari delle regioni di Gomel e Brest per proteggerli – con tende, localizzatori GPS e armi – e il 23 marzo la chat di Telegram “Comunità dei ferrovieri bielorussi” è stata riconosciuta come formazione estremista.
A metà aprile, decine di persone erano già state arrestate a causa della guerra ferroviaria. In quei giorni i canali statali Telegram hanno lanciato in rete contemporaneamente 38 video di pentiti. Dicevano tutti la stessa cosa: «Ero iscritto al canale Telegram della comunità ferroviaria, ma non sapevo che fosse estremista, il KGB mi ha spiegato tutto, ora mi pento profondamente ed esorto i cittadini della Bielorussia a non iscriversi a canali Telegram estremisti».
Il numero esatto dei «partigiani ferroviari» arrestati è ancora oggi sconosciuto, così come il numero di atti di sabotaggio da loro commessi. Gli stessi funzionari della sicurezza bielorussi producono cifre contraddittorie. La cosa principale per loro è descrivere la nuova guerra ferroviaria come un’operazione dei servizi segreti occidentali. Ogni fermato o detenuto viene definito «agente occidentale», e di lui si dice che «ha ricevuto un ordine», o «ha agito per interesse materiale». Gli agenti occidentali spaventano i bambini bielorussi peggio della strega delle favole. Ma è improbabile che questa volta li spaventino: dopotutto, è scritto anche nei libri di storia che una guerra ferroviaria altro non è che un’eroica resistenza partigiana. —