Robinson, 7 maggio 2022
L’arte di correggere il mondo
Il 3 febbraio del 2020 moriva George Steiner: uomo eruditissimo, uno degli ultimi, veri umanisti. L’amico Nuccio Ordine lo ricorda ora in George Steiner. L’ospite scomodo (La nave di Teseo), ricostruendo i molteplici aspetti della sua caleidoscopica figura, e aggiungendo in coda al libro una serie di conversazioni avute con il grande critico. Tra le tante, una mi ha colpito in modo particolare: “Correggere gli errori del mondo: su Sebastiano Timpanaro”, uscita sul Corriere della Sera il 27 gennaio del 2006.
Steiner riconosce esplicitamente il proprio debito verso il nostro filologo, a cui si è richiamato per descrivere il protagonista del suo romanzo Il correttore. «Mi aveva sempre affascinato la possibilità di concepire la filologia come allegoria dello scrupolo morale.
E in questo eccezionale filologo, che ha lavorato per tantissimi anni come correttore di bozze, ho trovato un esempio vivente di come sia stato possibile coniungare due anime tanto distanti: lo specialismo dell’erudizione e l’entusiasmo per la rivoluzione».
Il protagonista del romanzo è naturalmente un Timpanaro immaginario. Ma, aggiunge Steiner, quel che «ho cercato di dimostrare in questo racconto è che un correttore di bozze può essere l’allegoria di qualcuno che voglia correggere il mondo.
Correggere un errore tipografico, infatti, non è una piccola cosa: significa credere in un mondo dove possano esistere l’esattezza e la verificabilità.
Tutto ciò può rinviare simbolicamente a un’utopia della precisione. Ci può essere, insomma, uno stretto rapporto tra correggere lo stato sociale, filosofico e politico del mondo e, nello stesso tempo, correggere gli errori sulla pagina: il correttore di bozze, come il rivoluzionario, è un uomo che lavora per un sogno molto utopico. Non esiste infatti un’edizione perfetta».
Se è consentita un’annotazione personale, confesso di aver conosciuto anch’io l’ossessione non di correggere, ma di commettere errori. Fino a quando, molti anni fa, ebbi modo di visitare a Sarajevo una casa bosniaca dell’Ottocento. E la mia guida, una brava storica dell’arte locale, mi fece notare come tutto il corredo di oggetti della casa presentasse lievi difetti, accettati dagli abitanti. Ancor più pronti a sottomettersi alla perfezione divina, una volta riconosciuto che il difetto (l’errore) è parte costitutiva dell’esistenza umana. Da allora anch’io mi sono messo (relativamente) l’animo in pace.