la Repubblica, 7 maggio 2022
Mussari fa l’avvocato a Catanzaro
«L’avvocato Mussari non è più quel che era quando questa vicenda è iniziata, e nessuno gli restituirà nulla. Su questo, forse, dovremmo tutti riflettere». I suoi tre legali, parlando per lui, concludono così un breve commento alla seconda assoluzione in appello sulla gestione di Mps.
Quando questa vicenda è iniziata,10 anni fa, l’avvocato Mussari era presidente di Mps e dell’Abi. Una delle figure più potenti d’Italia, e più rampanti. Da cinque anni è tornato a fare l’avvocato nella natia Catanzaro, con alterne fortune: davvero impossibile riavvolgere il nastro.
Quando nell’agosto 2001 fu richiamato dai mari sardi per diventare presidente di Fondazione Mps aveva 39 anni, ed era un brillante avvocato di Siena, che lavorava col Palio e il sindaco. Cinque anni dopo, colfavore del Pd locale nonché romano, assurse alla presidenza del Monte, altri quattro e guidava la lobby bancaria italiana, con doti politiche che facevano sognare certi ambienti del Pd, spesso in cerca di leader. Poi l’acquisizione (avventata, nell’oggetto e nei modi) di Banca Antonveneta, le turbolenze in Borsa, gli errori nel gestirne il pagamento da 9 miliardi (e 7 di debito). E subito le inchieste, la ridda di udienze e processi, il ruolo di capro espiatorioche lo ha allontanato dall’adottiva Siena e il ritorno a Catanzaro, dal 2017: «Vivo gran parte del tempo in Calabria dove cerco di fare l’avvocato», ha detto. Ogni tanto torna a Siena, per vedere la moglie e Andrea Degortes, alias il fantino “Aceto”, tra i pochi amici rimasti.
Mussari non ha mai commentato le vicende giudiziarie, e così ieri: «Esprimo tutta la mia gratitudine e il mio affetto agli avvocati Tullio Padovani, Fabio Pisillo e Francesco Marenghi. Ho scelto di difendermi soltanto nelle aule di giustizia, non vi è oggi ragione di mutare registro». Ma quel che disse due mesi fa alla Commissione parlamentare sulle banche, convocato sulla morte di David Rossi (marzo 2013), «amico e fratello», e comunicatore, non si può fraintendere: «I fatti di quegli anni, la modifica dell’ordinato vivere civile, non li potete neanche immaginare. Io ero diventato il nemico numero uno, lui doveva gestire la comunicazione di Mps, anche contro il nemico numero uno. Un clima terribile in cui di ogni cosa e per ogni cosa si era individuato un responsabile che ero io, prima che i processi si svolgessero», così che le ipotesi dell’accusa diventarono «elemento unico di formazione della verità, nel processo mediatico rimasto nelle rassegne stampa». Da ieri Mussari ha chiuso le pendenze penali (nel civile resta l’azione di responsabilità sui derivati Alexandria), e alla verità “mediatica” può sostituire quella processuale. Che però non cancella la verità dei fatti, per cui la banca più antica del mondo, terza italiana, in quegli anni fu gestita, vigilata, partecipata, in modo tale da costare 20 miliardi di euro agli azionisti. Un terzo sono (erano) dei contribuenti, che non hanno finito di pagare.