La Lettura, 7 maggio 2022
Gli analfabeti grafici
Lorenzo Pregliasco, classe 1987, è un analista politico che sarà ospite al festival Scienza e Virgola in programma a Trieste dal 10 al 15 maggio. Insegna Dati strategie e comunicazione politica all’Università di Bologna e Storytelling politico alla Scuola Holden. Ha fondato l’Agenzia Quorum di ricerche sociali ed è direttore del Web magazine YouTrend. Dichiara anche di non essere uno specialista di statistica, eppure con i dati se la cava benissimo, anzi riesce a renderli comprensibili e persino simpatici. Nel suo libro, Benedetti sondaggi (Add editore), spiega come salvarsi dalle cattive interpretazioni e dalle trappole dei grafici. I sondaggi sono utilissimi per farsi un’idea della realtà in cui viviamo e prendere coscienza di ciò che potrebbe accadere nel futuro, ma solo se teniamo presente il loro carattere probabilistico e il margine di errore, intorno al 3%. Come nel caso del «cigno nero», espressione usata da Nicholas Taleb per descrivere un evento talmente improbabile da produrre un impatto devastante. Qualcosa che nessuno si aspetta. A Pregliasco abbiamo chiesto di spiegarci perché i dati sono da prendere con cautela.
Il titolo del suo libro, «Benedetti sondaggi», promette di farci capire meglio il presente attraverso l’analisi dei dati. Ma uno dei maggiori sociologi, Max Weber, sosteneva il principio di avalutatività della ricerca, libera da giudizi di valore. Se non è il ricercatore, allora chi deve dare giudizi di valore?
«Dal mio punto di vista ciascuno di noi, in quanto lettore e cittadino, è titolato a fornire un giudizio di valore, che emerge dalla propria esperienza, dalla visione del mondo, dalle vicende che ci rendono ciò che siamo. Il ruolo del ricercatore, o di chi analizza l’opinione pubblica, è provare a stimare quanto percezioni, convinzioni e comportamenti siano diffusi in una popolazione e indagarne anche le motivazioni».
Siamo un po’ tutti analfabeti grafici. Ci basiamo sulla prima impressione, che non è mai quella giusta. Cosa dovremmo fare per acquisire una «graphicacy», cioè una maggiore competenza?
«La graphicacy, l’alfabetizzazione grafica e visiva, è in effetti una competenza fondamentale per essere lettori e cittadini consapevoli. Penso che andrebbe maggiormente insegnata a scuola, ma anche essere parte integrante dei percorsi di formazione giornalistica. Nel libro provo a proporre qualche “regola” di massima: porre attenzione alla legenda e alla scala dei dati in un grafico; guardare con cura alle modalità di aggregazione e classificazione dei dati; saper “leggere” una mappa, orientandosi tra colori e dimensioni; e, per quanto riguarda i sondaggi, capire che cosa possono dirci ma anche che cosa non possono dirci. Non aspettarsi, in altre parole, un livello di accuratezza al decimale, che nessuna indagine campionaria su un fenomeno sociale, politico, economico può fornirci».
Una delle più grandi delusioni, quanto ai sondaggi, è stata la votazione per la Brexit. Per l’elezione di Biden è andato tutto liscio. Come si spiega?
«In realtà la Brexit, e in un certo senso anche la vittoria di Donald Trump contro Hillary Clinton nel 2016, ci dice più della nostra capacità di interpretare i sondaggi che dell’affidabilità dei sondaggi stessi. Faccio un esempio. La media dei sondaggi sulla Brexit elaborata dal “Financial Times” alla vigilia del voto dava una sostanziale parità, con 2 punti di vantaggio del remain. È finita con una vittoria del leave con il 52%. Cosa significa? Che una imprecisione c’è stata, ma soprattutto che i sondaggi descrivevano correttamente una situazione di grande incertezza, nello stesso momento in cui la totalità o quasi degli analisti dava al remain una probabilità altissima. È come se di fronte a uno scenario che a molti nella “bolla” (là dove il remain e Clinton, per inciso, hanno stravinto) sembrava “implausibile” e “indesiderabile”, avessimo concluso che dunque era “impossibile”. E invece no: gli eventi improbabili ogni tanto succedono. Dovremmo abituarci ad accettare l’incertezza e a ragionare sempre in termini di probabilità.
E la vittoria di Biden?
«È un altro caso interessante: era lo scenario largamente più probabile; nonostante i sondaggi in media avessero sottostimato Trump di qualche punto, si è effettivamente verificata, perché il margine era molto ampio. Con un effetto paradosso: siccome siamo portati a rivedere le nostre aspettative in base agli eventi passati, tanti erano convinti che, nonostante i sondaggi, alla fine avrebbe vinto Trump. Un po’ come è accaduto con Marine Le Pen e molte narrazioni giornalistiche sulle “banlieue abbandonate e sedotte dall’estrema destra”. In quelle banlieue Macron ha preso l’80% dei voti. E ha vinto la rielezione più o meno esattamente come dicevano i sondaggi».
Fare un sondaggio non significa prevedere il futuro, però ne abbiamo bisogno per sapere come orientarci. Non è che i sondaggi, così imperfetti, saranno sostituiti dagli algoritmi predittivi?
«I sondaggi ci aiutano a considerare gli scenari più probabili. Non possono prevedere il futuro per il semplice fatto che sono una misurazione dell’oggi. Se in un sondaggio elettorale rispondi “oggi voterei il partito A”, è probabile che tu vada a votare effettivamente il partito A, ma potresti nel frattempo cambiare idea o non andare a votare. È un elemento di incertezza inevitabile, che cresce quanto più si è lontani dal voto. E pensiamo agli indecisi: se il 30% di chi intervisto in un sondaggio mi dice che non sa ancora chi votare, come posso prevedere come sceglierà di qui a un mese o un anno? Le analisi ci confermano che i sondaggi rimangono lo strumento migliore per leggere il presente. Se emergeranno nuove tecniche, anch’esse avranno bisogno di dati. E fino a quel momento, “benedetti sondaggi”: anche perché le alternative – le bolle rumorose dei social? Il pensiero degli influencer? I talk show? – non sono necessariamente strumenti migliori per capire che cosa ci accade intorno».