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 2022  maggio 07 Sabato calendario

Musk e i finanziamenti sauditi per Twitter


Sempre più spericolato nelle sue avventure finanziarie e alla conquista di Twitter, Elon Musk ha gettato nello sconforto gli azionisti di Tesla (che ha subito perso l’8%) annunciando che, almeno temporaneamente, farà anche l’amministratore delegato della rete sociale di San Francisco, mentre i siti d’informazione progressisti lo criticano perché, pur presentandosi a parole come un missionario della libertà assoluta della Rete, accetta finanziamenti da Paesi (e addirittura governi) arabi liberticidi.
A scatenare gli attacchi la pubblicazione, giovedì sera, dell’ennesimo prospetto per il reperimento dei 44 miliardi di dollari necessari per l’acquisto totale di Twitter inviato da Musk alla SEC: l’authority della Borsa. L’imprenditore, che all’inizio si era impegnato a reperire 21,5 miliardi vendendo sue azioni Tesla, ora riduce la sua esposizione personale: in pochi giorni ha trovato investitori disposti a diventare azionisti di minoranza o a restare nella compagine azionaria per un totale di 7,1 miliardi. I critici puntano il dito sulla decisione del principe saudita Al-Waleed bin Talal di mantenere il suo investimento di 1,9 miliardi in Tweet (che risale al 2011) e sui 375 milioni di dollari promessi dal fondo sovrano del Qatar. Perché Elon, che dice di comprare Twitter non per i profitti ma per farne un faro della libertà d’espressione, accetta soldi da Paesi dove la libertà di parola è negata e i giornalisti che non seguono le indicazioni del regime finiscono in galera o rischiano la vita? Una legge del Qatar, ad esempio, promette 5 anni di galera a chi diffonde «notizie false o malevole». La critica è sicuramente giustificata proprio perché Musk si erge a tutore delle libertà e si è già distinto in passato per atteggiamenti contraddittori su questo fronte: ad esempio ha condannato come illiberali le misure Usa anti Covid ma non ha mai fiatato su quelle assai più dure della Cina, dove c’è la più importante fabbrica della Tesla. Va, però, anche notato, che l’investimento del Qatar (col quale, peraltro, tutti nel mondo fanno affari) è modesto: 375 milioni sono poca cosa rispetto al miliardo messo su Tesla da Larry Ellison di Oracle o agli 800 milioni del fondo di venture capital Sequoia.
Quanto, poi, ad Al Waleed, è un finanziere che con la sua Kingdom Holding Co. ha investito ovunque, da Apple a Coca Cola. Ben noto anche da noi: azionista della Mediaset di Berlusconi, in Italia 25 anni fa voleva comprare pezzi di Eni ed Enel. Qui incuriosisce soprattutto il passaggio dallo scontro all’abbraccio tra lui e Musk. Ovviamente sceneggiato su Twitter. Quando Musk offre 54,20 dollari per azioni, Al Waleed è brutale: «Lontanissimo dall’intrinseco valore di Twitter. Da grande e storico azionista di Twitter, respingo la sua offerta». Secca la replica di Musk: «Interessante. Solo due domande: quanto è rilevante la quota di Twitter della sua Kingdom? E qual è il suo punto di vista sulla libertà di parola dei giornalisti?». Giorni di silenzi (e trattative sotterranee), poi Al Waleed annuncia la pace: rimane in Twitter «entusiasta della nuova avventura» con Musk «nuovo amico ed eccellente leader». Cosa gli avrà promesso quel diavolo di Elon?