Corriere della Sera, 7 maggio 2022
Boris non è un piccolo Churchill
A questo giro di giostra siamo seduti dalla parte giusta, però ammettiamolo: a volte la compagnia lascia a desiderare. Si prenda il caso disperato del primo ministro britannico, Boris Johnson: è appena riuscito nell’impresa di perdere le elezioni di Westminster, il quartiere più conservatore di Londra e forse del mondo, ora passato ai laburisti. L’Inghilterra non è come l’Italia, dove i nobili e i ricchi votano a sinistra. Lì sono rimasti all’antica. O meglio, vi erano rimasti fino a quando la destra non ha assunto i connotati rubizzi di Bo.Jo. A rovinargli una reputazione che non aveva mai comunque raggiunto la sufficienza è stato il comportamento tenuto durante l’ultimo lockdown, quando di giorno andava in tv a raccomandare ai cittadini di chiudersi in casa e la sera apriva di nascosto le porte del suo appartamento al numero 10 di Downing Street per ospitare party affollati e ben riforniti di liquori. Gli inglesi sono di larghe vedute: comprendono i vizi degli altri, a condizione che sia consentito anche a loro di accedervi. Non sono state le feste di Boris ad averli offesi, ma il non esservi stati invitati. Al cospetto di un simile oltraggio, le guasconate belliche del primo ministro sul fronte orientale, che molti residenti di Westminster avranno pure apprezzato, hanno finito per apparire un meschino diversivo.
Una cosa è certa: solo i posteri diranno se Putin è stato un piccolo Hitler, ma già noi contemporanei possiamo agevolmente affermare che Johnson non è neanche un piccolissimo Churchill.