Il Messaggero, 6 maggio 2022
Intervista a Paolo Belli
Uno con una preparazione musicale come la sua a quest’ora all’estero sarebbe forse una star trattata con il rispetto che merita. Parla per lui la lista di musicisti con i quali ha collaborato negli anni: da Sam Moore a Jimmy Whiterspoon, passando per Billy Preston: «Se mi è mai capitato di sentirmi sottovalutato? Sì, anche se i miei amici dicono che sono la persona con meno autostima del mondo», sorride Paolo Belli. A 60 anni l’ex frontman dei Ladri di Biciclette, oggi bandleader del gruppo che accompagna le esibizioni degli aspiranti ballerini di Ballando con le stelle, lo show condotto da Milly Carlucci che da quindici anni è un punto fisso nel palinsesto di Rai1, si regala un disco con il quale rivisita in chiave swing, jazz e latin tredici brani di grandi cantautori italiani. Quelli che lui considera i suoi maestri: da Vasco a Dalla, passando per Jannacci. Si intitola La musica che ci gira intorno ed esce oggi.
Cosa risponde ai suoi amici, quando le dicono che ha scarsa autostima?
«Che hanno ragione. Ma sapete da dove sono partito io? Da Formigine (Modena, ndr), provincia emiliana. Senza chissà quali ambizioni. Dalla carriera ho avuto più di quanto pensassi di meritare».
Non faccia il modesto.
«Sono sincero. Non lo so, se merito di stare effettivamente al primo posto. Però so che quando sono stato all’ultimo posto non mi è piaciuto. Sono trentatré anni che gioco in Serie A, ormai. A volte mi qualifico per l’Europa League, altre mi salvo all’ultima giornata. Non mi hanno mai regalato niente».
Non deve dire grazie proprio a nessuno?
«Non sono un irriconoscente: devo dire grazie a tantissime persone, dai primi Ladri di Biciclette a Chiambretti e Vasco Rossi, che nonostante l’eliminazione del gruppo dal Festival di Sanremo, nell’89 (in gara con Ladri di biciclette tra le nuove proposte, ndr), mi portarono in tv e in tour. E poi Milly, naturalmente. Ma c’è anche del mio, se permette. A 60 anni un regalo me lo sono fatto da solo, con questo disco. È il migliore che io abbia mai fatto».
Che fa, se lo dice da solo?
«Chi lo fa, oggi, un disco così, tutto suonato dalla prima all’ultima nota, inciso con sedici grandissimi musicisti? Glielo dovevo anche, alla mia Big Band: questi professionisti hanno dedicato a me gli ultimi trent’anni delle loro vite. In un momento di crisi, durante il lockdown, li ho tenuti impegnati, facendoli lavorare. Li ho portati in studio: Facciamo come si fa una volta, suoniamo gomito a gomito e andiamo avanti finché il risultato non ci soddisfa. E se non ci piace, ricominciamo».
Dev’essere stato un investimento, considerando che il disco se l’è autoprodotto.
«Già. Mi auguro di riuscire almeno a rientrare delle spese con i concerti che faremo quest’estate (ieri ha suonato al Cap 10100 di Torino, stasera doppio appuntamento al Blue Note di Milano, nda). Lo dicevano Dan Aykroyd e John Belushi in The Blues Brothers: Siamo in missione per conto di Dio».
La scelta di aprire il disco con la cover de L’italiano di Toto Cutugno ha un significato politico?
«Anche. Dovremmo fare come i francesi, che nutrono un rispetto enorme per la loro tradizione. Noi italiani, invece, ce ne dimentichiamo. Amici americani mi hanno detto che molte persone negli Usa sono convinte che la pizza sia un’invenzione di Pizza Hut. E che Pinocchio l’abbia ideato Walt Disney».
Cosa le hanno detto gli autori dei brani, quando gli ha fatto ascoltare le rivisitazioni?
«Sto raccogliendo man mano le reazioni. Quella di Futura fu approvata a suo tempo già da Dalla: Socc’mel, come mi piace la versione jazzy, esclamò. Ron, invece, era un po’ perplesso quando gli ho detto che avrei riarrangiato Vorrei incontrarti fra cent’anni in duetto con Arisa: aveva paura che snaturassi la canzone. Poi s’è ricreduto».
Che sarà, Ma come fanno i marinai, La voce del silenzio, La prima cosa bella, Parlare con i limoni: ce n’è per tutti i gusti. È rimasto fuori qualcosa?
«Eccome. Avevo in serbo anche omaggi a Pino Daniele, Gaber, Endrigo. C’è materiale a sufficienza per altri due album. Bisogna trovare i soldi per farli, però (ride)».