La Stampa, 6 maggio 2022
Intervista a Giorgia Soleri
Incontro Giorgia Soleri alla festa per il suo libro d’esordio, una silloge di poesie, La signorina nessuno, in libreria da ieri per Vallardi. Milano, Corso Buenos Aires, il trilocale di un’agenzia letteraria che ha cominciato da uno scantinato. Ci sono i pasticcini, le tartine, il vino. Niente sushi. Sembra la merenda di un compleanno in casa. Il giorno prima, insieme ad altri attivisti del comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo, di cui fa parte da molto tempo perché da molto tempo le è stata diagnosticata la vulvodinia, Soleri, 26 anni, attivista, modella, scrittrice, ha presentato alle Camere un disegno di legge che chiede di riconoscere le due patologie come croniche e invalidanti, garantendo così a chi ne soffre l’assistenza del sistema sanitario nazionale.
Damiano, il frontman dei Måneskin, suo compagno da molto tempo, se ne sta in disparte, sempre vicino ai balconi o alle porte. È il giorno di Giorgia. E lo era anche quando l’ha accompagnata alla Camera, sebbene – dice ridendo con molto sconforto e nessuna sorpresa – qualcuno abbia scritto che a essere affetto da vulvodinia sia lui. Giorgia ride anche lei, con più allegria; dice di essere stata accusata di essere andata alla camera per pubblicizzare le sue poesie. Sono la nuova coppia da sbranare, lo sanno e non se ne curano: hanno obiettivi chiari, separati ma paralleli. A lui interessa arrivare dappertutto, ma a Los Angeles gli mancava casa. Non ama la mondanità: «Mi piace farmi i fatti miei a casa mia».
Soleri indossa il rosa acceso del femminismo del nostro tempo, quello che ha creato i fronti nuovi della battaglia delle donne, quello che ha saputo essere qualcosa che Erica Jong, nel suo ultimo libro, dice che negli anni 70 il movimento per l’emancipazione femminile riuscì a essere solo in parte: sfrontato, intransigente.
Nell’introduzione al suo libro, scrive: qui c’è molto di me, ma non tutto.
«La poesia è una trasparenza. Ci sono cose che mi sono accorta di aver tenuto nascoste soltanto rileggendo».
L’ha fermata il pudore?
«Dico sempre che quando distribuivano il pudore, ero in fila per le tette».
Lo prendo per un no.
«Sono nata senza. Ho iniziato a posare a 16 anni, ho fatto il mio primo servizio di nudo a 18, e i miei familiari mi raccontano sempre che quando ero piccola, la prima cosa che facevo quando entravo in casa era spogliarmi. Odiavo i vestiti».
Crede nella libertà?
«Come la intendiamo?».
Intendiamola nel modo più facile: dire e fare tutto quello che le pare.
«Allora no, non ci credo. E neanche mi interessa. Dovrei vivere da sola in una foresta per essere libera in quel modo. E cosa ne ricaverei? A me non dispiace né pesa limitarmi per il bene degli altri, pensare mille volte prima di agire. Tutto può ferire, condizionare: anche le azioni quotidiane, automatiche di mia madre, per me che le guardo hanno un significato che resta, si sedimenta dentro di me».
Crede negli esempi?
«No. Nei messaggi sì».
Quello che fa lei è politica?
«Ogni scelta lo è. Il personale è politico. La mia storia lo dimostra: ho iniziato a raccontarla online, perché volevo essere utile, volevo risparmiare a più persone possibile il mio stesso calvario, e ieri ero a fare la stessa cosa, però alla Camera dei deputati. Mi sento responsabile di quello che faccio: è politica anche questo».
Quando ha deciso di diventare un’attivista?
«Mai. L’ ho scoperto: me lo hanno detto. Davvero: io volevo solo raccontare la mia storia».
I social non la spaventano?
«Senza i social non avrei scoperto la mia malattia. Mi rendo conto che suona paradossale, e so benissimo che i medici dicono che la sola cosa da non fare, quando si sta male, è consultare internet. Eppure, è stato informandomi e parlando con persone online, che ho capito che tipo di malattia avevo. Ho dovuto auto diagnosticarmela: fino ad allora, è stato un inferno. Io non sono nemmeno in grado di dire da quanto tempo ne soffro. Però, so che non me ne libererò. Ho imparato a vivere con il dolore, a scoprire le possibilità che apre».
Quali?
«Una sessualità diversa. Ci viene raccontato che le zone erogene sono quelle genitali: non è vero. Il corpo è una corda di violino tesa, se solo impari a suonarla e, naturalmente, se hai al tuo fianco qualcuno che sia in grado di imparare un linguaggio diverso. Abbiamo un’idea menomata di cosa può farci stare bene, pensiamo ancora che il piacere femminile sia rinunciabile, un di più. Poco tempo fa, è uscito un articolo su una testata nazionale in cui veniva consigliato, a chi soffre di vulvodinia, di usare delle creme anestetiche per non sentire dolore durante il rapporto sessuale. Ora, una crema anestetica elimina il dolore ma pure il piacere. Davvero non riusciamo a cercare soluzioni o rimedi migliori?»
Cosa pensa degli attacchi all’aborto? Negli Stati Uniti esistono movimenti di ventenni che lo considerano un omicidio.
«I diritti, specie quelli delle donne, sono sempre in pericolo: vanno presidiati, tutelati, difesi sempre. Che esistano quei movimenti non mi stupisce: i ragazzi sono manipolabili. L’atmosfera di restaurazione, in tutto l’occidente, mi sembra palpabile. Io sono femminista perché mia madre mi ha educata in un certo modo: sono stata fortunata»
Perché ha scelto la poesia che è così fraintendibile?
«Scrivo poesie da sempre e la poesia è una forma più codarda, per me, per dire le cose. E mi piace l’idea che qualcuno legga in ciò che scrivo qualcosa a cui non ho pensato. E poi la poesia ha un punto di contatto forte con la fotografia, la mia grande passione sin da piccola: una foto è quello che lasci fuori, non quello che metti dentro».
Ha paura del pubblico?
«Dopo questo libro un po’ sì. Perché qui sono scoperta, non nuda».
Sono tutte o quasi tutte poesie d’amore.
«Ho chiesto a Damiano se c’era qualcosa che voleva che tenessi fuori, ma abbiamo un patto: sul lavoro, massima libertà».
Quando siete in disaccordo?
«Mai davanti agli altri. A casa si discute, in pubblico ci si sostiene. Una delle prime cose che ho scritto a Damiano, all’inizio della nostra storia, è questa: la tua presenza cambia il mondo. Gliel’ho riscritto nella dedica sul mio libro. Lui ha corretto: “La nostra presenza cambia il mondo"».
C’è una sua canzone che non le piace?
«Certo. Immortale. Non piace molto neanche a lui».
Com’è il futuro?
«Non ci penso. Mi piace essere guidata dalla vita». —