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 2022  maggio 06 Venerdì calendario

Intervista ad Andrea Tacconi. Parla delle condizioni del papà

Un padre, un figlio, una mano dentro una mano e occhi che parlano. Ma anche gesti piccoli, palpebre, ciglia, dita, gambe e braccia. Speranza e paura. Il viaggio di Stefano Tacconi, l’ex portiere della Juventus e della Nazionale colpito da emorragia cerebrale il 23 aprile, lo racconta suo figlio Andrea.
C’è stato un peggioramento?
Quel comunicato di mercoledì ha spaventato tutti.
«No, il quadro è stabile, l’ultima Tac è buona. Ma i medici ci hanno spiegato che questi sono i giorni del grande rischio, infezioni o una nuova ischemia, in linguaggio tecnico credo si chiami vasospasma. Però io so che lui ce la farà».
Solo amore?
«No, è che lo vedo. Gli stanno facendo un trattamento al cervello che gli fa benissimo, gli apre le vene, il sangue circola meglio e papà è più presente, più tonico, più reattivo».
È cosciente?
«Muove braccia e gambe, risponde agli stimoli, stringe la mano, alza il pollice, apre e chiude gli occhi. Gli abbiamo detto che il Real Madrid è in finale di Champions e che la Juve ha vinto in campionato: ha risposto facendo il segno della ‘V’ con le dita».
Dunque, si rende conto?
«Soltanto lui sa se capisce, però io so che sa. Lo sento».
Andrea, ci racconti la sua giornata.
«Da Milano ad Alessandria e ritorno per stare con lui, sempre. Entro in ospedale con mamma alle undici e mezza del mattino, poi restiamo in terapia intensiva, gli parliamo, gli raccontiamo quello che succede fuori. Gli diciamo che tutto il mondo ci chiama per sapere».
Se l’aspettava?
«Forse non così, ma lui è un buono, è uno sincero, ha sempre detto sì a tutti, pure troppo. Si è fatto voler bene. Mi hanno appena chiamato tra gli altri Zoff, Schillaci, Zenga e Torricelli, e una miriade di amici.
Diego Maradona junior mi ha scritto una bellissima cosa».
Che gol il suo papà al suo papà.
Quella punizione...
«Mio padre dice sempre che fu un onore prendere un gol del genere da Maradona. Si sono sempre stimati. Una volta, papà chiamò Diego per una partita benefica a Terni, e Diego naturalmente andò».
Ieri com’è andata la giornata?
«Lui è sempre molto curioso del tempo che fa, è un suo capriccio.
Ho visto che guardava la finestra, all’inizio non capivo ma poi gli ho stretto la mano e gli ho detto: ah, vuoi sapere se piove o se c’è il sole!
Piove, papà».
Ci spieghi il suo ottimismo.
«Intanto, l’ospedale di Alessandria è un posto giusto per guarire, sono tutti svelti e competentissimi, papàè stato fortunato ad essere portato qui. Non si è perso tempo. E i medici ci ripetono che lui è una roccia e lotta tantissimo, lo sport lo ha aiutato. Un altro con un fisico diverso non sarebbe arrivato vivo al pronto soccorso».
Lei e la sua mamma siete molto gentili con tutti: come fate a non isolarvi?
«Io rappresento l’unico ponte tra mio padre e il mondo là fuori, quel mondo che vuol sapere e gli sta vicino. Rispondere è mio dovere, mi dà forza».
Quando ha capito la gravità della crisi?
«Tutto era cominciato con un fortissimo mal di testa, e mio padre non ne soffre praticamente mai: mi è sembrato strano. Poi ha preso un Oki. Dovevamo partecipare a una manifestazione ad Asti, una bella cosa sulle figurine: dopo due ore, papà è crollato. Quand’è arrivato all’ospedale era gravissimo, poi lo hanno portato ad Alessandria e operato al cervello. Questa tempestività ha fatto la differenza, l’emorragia cerebrale è stata fermata subito».
Adesso cosa vedete all’orizzonte?
«Eh, questa avventura sarà molto lunga e lo sappiamo. I medici non vogliono creare illusioni e hanno parlato chiaro sin dal primo momento: sarà un’altalena. Ma papà, proprio da quel primo momento ha cominciato la sua partita. E lui lo sapete com’è, sapete quanto gli piace tuffarsi e giocare sempre per vincere».