5 aprile 2022
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Biografia di Emma Dante
Emma Dante, nata a Palermo il 6 aprile 1967 (55 anni). Regista di teatro e cinema. Autrice. Attrice. Fondatrice nel 1999 della compagnia Sud Costa Occidentale. Fra gli spettacoli teatrali: mPalermu (2001), La scimia (2004) Cani di bancata (2007), Operetta burlesca (2014), Odissea a/r (2016), Bestie di scena (2017), Abbecedario della quarantena (2020), Pupo di zucchero (2021) e da ultimo Scarpette rotte (2022). Nel 2010 ha aperto tra le polemiche la stagione del Teatro alla Scala con la Carmen di Georges Bizet. Ha poi curato la regia di altre otto opere teatrali. Due film, entrambi presentati in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: Via Castellana Bandiera (2013, Coppa Volpi per la protagonista Elena Cotta) e Le sorelle Macaluso (2020, Nastro d’argento 2021 per miglior film e miglior regia, sonoro, montaggio e produzione). Una ventina tra romanzi e libri per bambini, tra i quali Carnezzeria: trilogia della famiglia siciliana (2007); La favola del pesce cambiato (2007); Via Castellana Bandiera (2008); Trilogia degli occhiali (2011); Gli alti e bassi di Biancaneve (2012); Le principesse di Emma (2014). «La penso come Hans Christian Andersen: la vita è una favola nera».
Vita Il padre, messinese, dirigeva una filiale di tessuti. La mamma, palermitana, la spinse a fare teatro • «Da bambina ero timida, introversa, non capricciosa, né tantomeno monella, molto ubbidiente e rispettosa. In un certo senso, mi mantenevo sempre un po’ in ombra… Strano a dirsi… Tutto il contrario, decisamente l’opposto di quella che sono poi diventata. Non ricordo molto dei giochi che amavo fare da piccola… Me ne viene in mente solo uno, molto strano. Mi divertivo ad andare in salotto e a infilare la testa sotto al cuscino del divano, per poi veder filtrare la luce che entrava dalla finestra… Era come se quella luce fosse magica. Immaginavo che da quella scia luminosa dovessero apparire delle fate e che avrebbe avuto luogo un incantesimo» (a Emilia Costantini) • «Da piccola ero silenziosa, assorbivo e basta, poi è scattato un corto circuito per la scena. Ho imparato da mio padre, un commerciante stravagante, che vedeva l’esistenza con ironia isolana, inventore di storie. Ma devo tanto anche a mia madre, purtroppo morta a 58 anni: lei mi mise sul treno per andare a Roma, all’Accademia. Dei miei due fratelli, uno è insegnante e segue il mio cammino, e uno lo persi quando aveva 24 anni in un incidente nel 1995, prima della scomparsa di mamma. Due lutti che cambiarono la mia vita. Iniziai a interrogare personaggi, a scrivere testi miei» (a Rodolfo Di Giammarco) • «Mia madre era separata a cinquant’anni, era molto sola. Ho cercato di starle vicino, ma poi è morta presto. Mio padre si è risposato con una donna più giovane che lo ama e lo protegge. Per fortuna, visto che a 80 anni beve, e fuma come a 20. È la sua vita, va bene così» (a Giuseppina Manin) • «Il teatro mi ha folgorato a Siracusa, dov’ero con la scuola a vedere l’Antigone. Era quello il mio primo spettacolo teatrale: i miei non frequentavano teatri né chiese. Il desiderio della scena è stato immediato e tremendo, un bisogno divorante, una voglia irrazionale. E io, che fino a quel momento non avevo mai viaggiato, mi ritrovai su un treno per Roma, dove avrei studiato all’Accademia d’arte drammatica. Per me l’approdo nella capitale fu un’iniziazione, un risveglio di primavera. Non solo per lo svelamento del teatro, ma perché uscivo di casa ad esplorare il mondo» (a Leonetta Bentivoglio) • «Riuscii a vincere il concorso per l’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico. Andai a vivere da una zia mai vista prima, i parenti al Sud si aiutano anche se non si conoscono. Era il 1988 e Roma mi sembrò New York. Oggi è nevrastenica, all’epoca era una città accogliente, tollerante. Dopo l’Accademia entrai a Torino nel Gruppo della Rocca di Roberto Guicciardini, lì ho conosciuto Gabriele Vacis, con lui portai uno spettacolo nella fortezza di Dubrovnik, la guerra era finita ma la gente non ci credeva, non usciva di casa, aveva paura di morire, sembrava un film di Kusturica. Grazie a Vacis ho capito che non mi fregava nulla di recitare... Come lui manipolava i corpi, le voci, come un gesto diventava drammaturgia. Volevo fare la regista! Ho cominciato a affermarmi a più di trent’anni. Prima d’allora facevo l’attrice senza essere neanche notata. […] Ho capito che dovevo usare il mio dolore per fare qualcosa di più incisivo per me. Tornai a Palermo per seguire mamma che era malata di cancro. Era come se avessi incontrato la mia città per la prima volta. Ogni parola ogni suono, tutto arrivava amplificato. Palermo ha cominciato a scrivere per me. Lo spettacolo che mi ha fatto conoscere, segnando un certo tipo di ricerca, è mPalermu, significa “dentro Palermo”. Uno spettacolo sull’assenza un po’ buñueliano, raccontavo l’impossibilità di uscire di casa» (a Valerio Cappelli) • «Tanto teatro di Emma Dante è una galleria di affreschi spietati nel restituirci, senza censure né sconti, brutalità familiari, incesti nefandi, clan assassini, donne luride e voraci, uomini mezzo scimuniti o in balìa della propria aggressività bestiale. O nel descriverci struggenti maschi scimmieschi, e completamente nudi, che finiscono crocifissi, come nello spettacolo La scimia, con una emme sola, considerato sacrilego dal cardinale Tarcisio Bertone. O nell’esporci cerimoniali masturbatori che pulsano attorno al cuore nero della mafia vista come una madre-cagna, vedi la rabbiosa, tribale e accalcata liturgia di Cosa Nostra del suo Cani di bancata. O ancora nel frastornarci con asservimenti e intrecci d’identità sessuali, come succede ne Le pulle, che in palermitano significa puttane, ed “è interpretato da cinque prostitute, quattro travestiti e un transessuale che nella loro misera esistenza rincorrono sogni di fate”» (Leonetta Bentivoglio) • Nel 2009, l’allora sovrintendente e Direttore artistico del Teatro alla Scala Stéphane Lissner affidò a lei la regia della Carmen di Bizet, diretta da Daniel Barenboim, come apertura della stagione 2009/2010. La Dante ammise candidamente di non essere «mai entrata prima d’ora alla Scala» e «di non aver mai visto un’opera». La sua prima regia lirica, al solito antitradizionale, scatenò proteste fuori e dentro il teatro: i critici più morbidi parlarono di «eccesso di regia» (così l’architetto Vittorio Gregotti), quelli più duri l’accusarono di aver profanato il tempio sacro della musica. Molti i fischi e i buuu provenienti dal loggione alla chiusura del sipario • «Io credo nel diavolo e ieri sera alla Scala ho visto in scena proprio il diavolo. Quello spettacolo è il frutto di una scelta sbagliata, pericolosa soprattutto per i giovani. Immaginiamo un ragazzino che non è mai stato all’opera e va alla Scala, meraviglioso scrigno di bellezza, per vedere quella Carmen» (Franco Zeffirelli) • «Tornando la sera a casa a Milano ho ricevuto minacce su Internet, vai via, non ti presentare mai più... Non amo così tanto lavorare nella lirica, mi inquieta, mi stanca, non ci dormo la notte, devi fare il motivatore e il risultato non dipende da te, poi a volte trovi sovrintendenti straordinari. La regia è sempre stata considerata un disturbo dai melomani, dev’essere una cosa che si insinua lentamente e subdolamente nell’ascolto e nella visione degli spettatori» (a Valerio Cappelli) • «La lirica è diventata importante nel suo percorso e lei si diverte a smontare le opere: è così? “Mi sembra una macchina che permette di fare grandi cose. Mi piace smontare i cliché ma Bohème, per esempio, è rimasta fedele a sé stessa: sono solo uscita dalla mansarda cambiando il punto di vista”» (a Mario Di Caro) • «Legge grandiosi romanzi, con l’amato Dostoevskij in cima all’elenco delle predilezioni, “perché è il più grande costruttore dell’architettura familiare”. Gode molto del cinema classico, Fellini, Stanley Kubrick e anche Frank Capra: “Il mio film preferito, lo confesso, è La vita è meravigliosa. L’ho visto non so quante volte, costringo Carmine a rivederlo con me. E nei soliti cinque o sei punti scoppio a piangere”. La ragazza cattiva è una romantica» (Pietrangelo Buttafuoco) • Nel 2021 la Nave di Teseo pubblica una sua rilettura di fiabe famose. Titolo, E tutte vissero felici e contente. Perché al femminile? «Perché le protagoniste sono donne, ragazze o bambine. Sono loro, le principesse, a cavarsela, il principe azzurro arriva sempre all’ultimo, non fa niente ma si prende tutti i meriti. Il maschile è secondario nella fiaba. Per giustizia quindi, meglio “felici e contente”» (a Giuseppina Manin).
Amori Sposata con l’attore napoletano Carmine Maringola (1974). Nel 2017 hanno adottato un bambino, Dimitri, nato a San Pietroburgo • «Più di una volta ho desiderato una maternità, ma qualcosa ha impedito il realizzarsi di una cosa così naturale. Allora io e Carmine abbiamo richiesto l’adozione d’un bimbo italiano. Scontrandoci con un’attesa interminabile, un’inspiegabile mancanza di contatti, di considerazione: mai chiamati malgrado fossimo pienamente idonei a metter su famiglia con una creatura nuova. La soluzione è venuta fuori con un bambino russo di tre anni e mezzo. Intendiamoci, non è una passeggiata, non ti entra in casa un ragazzino felice, ma uno straniero piccolissimo che ha problemi alle spalle, cui devi togliere i fantasmi delle privazioni, insieme al quale devi superare delicate prove, per toccare lentamente con mano la serenità. Ma ora è già uno scrigno-scricchiolo delle cose che noi pensiamo e gli diciamo. Capisce, e si fa capire attraverso gestualità e sguardi» (a Rodolfo Di Giammarco nel 2017).
Critica «Vent’anni fa c’era Cinico Tv. Perché dovremmo applaudire le pretese di questa pallida e tardiva imitazione?» (Mariarosa Mancuso) • «Ha un dono speciale. Parla di cose alte e complesse come se fossero semplici, trasforma la cultura in ricetta di sopravvivenza, trasmette la gioia del fare come antidoto alla depressione della morte» (Fulvia Caprara) • «Il look sempre dark, sempre grandi collane sull’imponente décolleté, sempre Rocco accanto, il cane che compare anche nel suo primo film. Dicono che è una dura, che si impunta, che strepita, che è fuori misura, ma è il suo modo di combattere e ora finalmente si vede riconosciuta come una grande artista» (Anna Bandettini) • «Di lei si dice un gran bene in società: la più importante regista contemporanea, sia di cinema che di teatro, tanto è vero che ogni suo titolo risulta capolavoro in automatico. Solo che lei si sente una perseguitata e proprio a Palermo, lei che l’ha celebrata quella città coi suoi allestimenti, ha trovato i suoi carnefici: i blogger. Uno in particolare, Rosalio, dove s’è data notizia di un fatto inaudito: il flop al botteghino. Di lei si dice un gran bene in società, è una personalità complicata, è affascinante, sarebbe perfetta come presidente della regione siciliana e ne farebbe l’isola della legalità e dei diritti, o qualcosa di simile, dove “far tesoro dei disagi e delle provocazioni”, se non fosse che tutta quella umanità di tasci o burini che dir si voglia non la capisce e rivolge a lei solo “cattiveria gratuita e immotivata contro di me”. Al punto di farla sentire – come ha scritto l’artista sulla sua pagina Facebook – “un’ebrea nella Germania nazista degli anni 40” » (Pietrangelo Buttafuoco).
Frasi «Non ho paura della morte, me la sono fatta amica. Mi inquietano la malattia e il corpo che si trasforma» • «Non mi sento di appartenere a niente, ma la Sicilia è un luogo di carattere ed è difficile non accorgersene. Tutto faccio tranne che voler essere siciliana a ogni costo» • «Il teatro non si può insegnare, ha a che fare con la personalità, è una cosa intima, nasce dagli incontri» • La rabbia è della giovinezza, poi si deve trasformare. Non in rassegnazione, ma in febbre, in quel leggero malessere che tiene svegli».