12 aprile 2022
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Biografia di J.M.G. Le Clézio (Jean-Marie Gustave L. C.)
J.M.G. Le Clézio (Jean-Marie Gustave L. C.), nato a Nizza il 13 aprile 1940 (82 anni). Scrittore. Romanziere. Saggista. Premio Nobel per la letteratura 2008 • «Un viaggiatore del mondo, un naufrago dell’esistenza» (Massimo Nava, CdS, 10/10/2008) • «Bello come un attore – un incrocio tra Alain Delon e Robert Redford» (Pangea, 15/5/2019) • «Bravissimo, ma non notissimo» (Beniamino Placido, Rep, 17/5/1994) • «Come sempre, all’annuncio che aveva vinto il Nobel, molti si sono ritrovati a chiedersi: “Chi?”» (Dario Olivero, Rep, 9/10/2008) • Ha scritto una quarantina di opere, tra romanzi e saggi, articoli e pamphlets, fiabe e racconti. Ha tradotto in francese i testi della mitologia indiana • Doppia cittadinanza: francese e britannica • Originario dell’isola di Maurizio (colonia inglese fino al 1968), «sin da bambino il contatto con le culture ‘altre’, l’attenzione a minoranze spesso inascoltate che, accanto a una profonda esplorazione della solitudine esistenziale, ne faranno il tratto distintivo della sua opera» (Treccani). Laureato in lettere, debuttò nel 1963, a 23 anni, con il romanzo Il verbale, che gli valse il prestigioso premio Renaudot. Tra i suoi libri più celebri: Deserto (1980), Il cercatore d’oro (1985), Il sogno messicano (1988), Onitsha (1991), Stella errante (1992), Diego e Frida (1993), Le due vite (1996), L’Africano (2004) e Il continente invisibile (2006). Nel 1994 un sondaggio tra i lettori del mensile Lire lo elesse «maggior autore francese vivente». Nello scrivere le giustificazioni per cui ha meritato il Nobel, l’Accademia di Stoccolma «ha messo in mostra un insolito sforzo esegetico: “Autore della rottura, dell’avventura poetica e dell’estasi sensuale, esploratore di un’umanità al di là e al di sotto della civiltà dominante”. La “rottura” è quella dell’avanguardia del nouveau roman cui appartenne Le Clézio negli anni 60 (e che viene riconosciuta con quasi cinquant’anni di ritardo). L’“al di là e al di sotto della civiltà dominante” deve alludere in negativo ai vari DeLillo, Pynchon, McCarthy, Updike, Salinger, Roth, che, in quanto americani, hanno la colpa di esplorare la “civiltà dominante” per eccellenza. E forse anche Amos Oz e Abraham Yehoshua, israeliani, sono stati accantonati, perché troppo “dominanti”» (Paolo Di Stefano, CdS, 14/10/2008) • «Nella motivazione del Nobel veniva citata la sua capacità di raccontare “l’umanità accanto e al di sopra della civiltà dominante”. Una definizione in cui si riconosce? “Sono le mie origini a guidarmi: non c’è nessuno di più marginale di qualcuno venuto da Mauritius. E per fortuna i margini non sono poca cosa da raccontare. Anzi, guardando bene, il centro è piccolo e piuttosto vuoto, no?”» (Anais Ginori, Rep, 26/10/2008).
Titoli di testa «Seduto in un caffé del sesto arrondissement, Le Clézio si esprime scegliendo ogni parola, dosando i silenzi, con uno sguardo tra il divertito e l’interrogativo. Durante il nostro colloquio non si toglie mai il giaccone nero invernale. È a Parigi di passaggio, condizione che predilige. “Vivo un po’ ovunque, rimpiango di non aver mai abitato in Italia”» (Ginori).
Vita I genitori si chiamano Raoul Le Clézio e di Simone Le Clézio, sono cugini di primo grado. Discendono da un francese fuggito dalla Bretagna al tempo della Rivoluzione (Le Clézio viene da les enclos, in bretone «i recinti»): rifiutatosi di arruolarsi nell’armata rivoluzionaria, l’avo dei Le Clézio si era messo in viaggio per le Indie, ma si era fermato strada facendo e aveva finito per stabilirsi sull’isola di Maurizio (colonia francese fino al 1810, poi passata agli inglesi, indipendente dal 1968, capitale: Port Louis), nell’Oceano Indiano, al largo del Madagascar • «Io sono nato a Nizza nel 1940 e, insieme con mio fratello, di due anni maggiore di me, ho vissuto la guerra da bambino». (Alessandro Zaccuri, Avv, 31/10/2018). «Fino al 1944 ci siamo nascosti con la mia famiglia in un villaggio dell’entroterra di Nizza, Saint-Martin-Vésubie. Avevamo un passaporto britannico, mio padre era nell’esercito britannico in Africa. Abbiamo ricevuto molto aiuto nelle montagne dagli italiani dei comuni limitrofi, che accoglievano ebrei o rifugiati perseguitati come noi» (Ginori). «Non potevamo uscire in strada a giocare, perché c’era sempre il rischio di mettere il piede su una mina o di essere bersagliati da un cecchino. Per renderci sopportabile tutto questo, mia nonna, donna molto saggia, ci intratteneva raccontando le avventure di Zaco, un personaggio di sua invenzione. Nel creolo di Mauritius […] zaco significa “scimmia” e, in effetti, il nostro eroe era astuto e scaltro, riusciva sempre a cavarsela anche nelle situazioni più difficili. Ascoltare quelle storie mi ha aiutato a sopportare la guerra» (Zaccuri) • «Mio fratello e io vivemmo il secondo conflitto mondiale come una vacanza, perché non c’era l’autorità paterna. La vita di mia madre, invece, fu una tragedia, ma era innamorata di mio padre e questo le fu di grande aiuto» • «D’altrocanto, la guerra mi ha insegnato che cos’è la fame. Anche io sono stato tra quei bambini che corrono per strada di fianco ai camion degli americani, tendo le mani per afferrare al volo confezioni di chewing-gum, cioccolata e sacchi di pane che lanciano i soldati» • «Il fatto che sia nato a Nizza è una casualità […], fin da piccolo ho sempre saputo di appartenere a un altro luogo. Ma quale? Forse l’Africa, dove i miei genitori riuscirono a tornare qualche anno dopo? Oppure Mauritius, che però non offriva grandi occasioni a chi volesse trasferirsi stabilmente? Più che per la separazione da una terra, ho sofferto per la mancanza di un vero e proprio luogo natio. Per questo non tengo in eccessiva considerazione la nostalgia, che mi sembra un sentimento debole, poco adatto alla letteratura. I cinesi lo avvicinano all’autunno, ma io continuo a preferire altre stagioni: la mitezza della primavera, lo splendore dell’estate, perfino il rigore dell’inverno» • «Avevo otto anni quando, finalmente, andammo a trovare mio padre. Viveva in Nigeria, era l’unico medico della zona. Faceva una vita dura, lui stesso era duro. Ma lì c’era una natura incredibile, e furono altri due anni di vacanza. Con mio fratello, andavamo a distruggere con dei bastoni i nidi delle termiti, una cosa stupida da fare. E mi è rimasta impressa una grande lezione, perché qualcuno mi disse che le termiti non distruggevano le loro case. Imparai che nella vita bisogna rispettare gli altri e la natura. Ebbi anche paura. Ero stato cresciuto da donne e mio fratello ed io eravamo dei piccoli re. La presenza di mio padre cambiò tutto. Mi resi conto che, per superare la paura, la cosa migliore era scrivere la storia di un ragazzo che tornava in Europa. Da allora, ogni volta che ho paura tiro fuori carta e penna e mi metto a scrivere. Il foglio in bianco non mi crea ansia, al contrario, mi dà felicità» • Jean-Marie scrive il primo racconto a otto anni, sulla nave Holland Africa Line, che collega la Francia e la Nigeria. Primo vero romanzo: ventenne, a Nizza, in spiaggia e nei caffè. Da allora, per un quindicennio, esplora i temi della follia, del linguaggio e della scrittura sperimentale. Segue l’esempio di Georges Perec e di Michel Butor. «Era impegnato in una sperimentazione graffiante di contenuto, lingua, forma e persino stampa delle sue opere letterarie» (Treccani) • «Mio padre ignorava totalmente la mia vocazione. Fino a quando ottenni il Prix Renaudot nel 1963 con il mio primo romanzo, Il verbale. Allora mi disse che dovevo fare le valigie e andare a Parigi. Gli chiesi perché, e lui mi disse che la mia carriera era lì» • «Vivevo a Nizza. Parigi non mi attirava, ma Londra sì. A diciotto anni ci andai e iniziai a fare vari mestieri per sopravvivere. Londra era una porta aperta sul mondo» • La sua scrittura diventa sempre più legata al movimento e ai viaggi. Nel 1967 è in Tailandia come cooperante, ma viene espulso per aver denunciato il turismo sessuale. Poi si trasferisce in Messico («Avevo letto un libro sulla cultura maya, che spiegava l’importanza delle formiche per quella cultura; lessi altre cose e mi piacquero i colori dei loro monumenti, e tutto ciò suscitò in me una grande curiosità e interesse per il periodo precolombiano»). Nel 1970 è a Panama, nella provincia di Darién, e va a vivere con gli indigeni Emberà. Vi rimane fino al 1974. «Un’esperienza che ha cambiato la mia vita, il mio modo di stare con gli altri, persino il mio modo di camminare, mangiare, amare e anche sognare». Oltre alla vita, queste esperienze cambiano anche il suo modo di approcciarsi alla letteratura. «I libri di J.M.G. Le Clézio, da questo momento in poi, perdono la carica sperimentale e iconoclasta per arrivare a una forma più piana, classica. Il suo anticonformismo si sposta sul piano dei contenuti: i luoghi sconosciuti, le culture emarginate, l’ambiente. Temi al centro sia della sua produzione letteraria sia della sua azione pubblica» (Esquire). «Lei ha esordito poco più che ventenne come autore sperimentale, poi il suo stile si è fatto sempre più semplice, fino a diventare cristallino. Come spiega questa evoluzione? “Con il passare degli anni, che non comporta tanto un accumulo del tempo passato, quanto una graduale sottrazione del futuro. È normale che da giovani si voglia provocare, mettersi alla prova, dare libero corso alla fantasia. Quando scrivevo i primi libri, il mio modello letterario era J.D. Salinger, che ritenevo inarrivabile nelle sue costruzioni narrative. Oggi, invece, considero la semplicità come una conquista. Amo l’esattezza dei versi di Rimbaud”» (Zaccuri) • L’unica cosa che, in lui, rimane costante, è la passione per i viaggi. «Essere nomade è una condizione necessaria per trovare l’ispirazione? “In fondo, non ho mai avuto una patria. È una condizione che aiuta ad avere una certa distanza, vedo qualità e difetti della Francia. I luoghi dove abito sono frutto del caso […] Ho passato dodici anni negli Stati Uniti perché insegnavo, e così pure in Cina dove ho lavorato all’università. Scrivo su Paesi che non esistono, in base a ricordi, esperienze indirette. I luoghi che invento sono un mosaico di Seul, Bangkok, Città del Messico, Albuquerque, Nizza”» (Ginori). «Oriente e Occidente, Nord e Sud, tutte le categorie che si adottano di solito mi sembrano inadeguate rispetto alla realtà. Ciascuno di noi è immerso in un contesto interculturale che rende pressoché impossibile rivendicare un’identità al posto di un’altra. Per me non c’è nulla di più pericoloso e nefasto della teoria dello scontro di civiltà». Oggi, quando gli chiedono se si senta un esule, dice: «No, assolutamente. L’esilio è una con dizione forzata, di sofferenza. Io sono un cittadino del mondo». E a chi gli domanda a quale terra appartenga veramente, risponde: «La mia Patria sono i libri».
Amori È stato sposato due volte. La prima, dal 1961, con Rosalie Piquemal, da cui ha avuto una figlia, Patricia. La seconda, dal 1975, con Jémia Jean, originaria della città di Saguia el-Hamra (Sahara occidentale), arrivata in Francia sulle navi della Croce Rossa, da cui ha avuto Alice e Anna.
Politica Nel 2012 ha chiesto di mettere al bando l’autore Richard Millet, che definisce «disgustoso», «razzista» e «xenofobo» • Nel 2018, ricordandosi che, da bambino, lui e la sua famiglia erano stati aiutati a nascondersi dai nazisti sul confine italo-francese, si espresse a favore dei migranti. «Non ho mai dimenticato quegli anni. È un sentimento viscerale. Non posso accettare che si possa dare la caccia a chi cerca un rifugio. Certo, non ho soluzioni pronte all’uso. Macron ha detto che esprimo “buoni sentimenti”. È un uomo intelligente, che ha fatto buoni studi. Non sono in grado di dare consigli. Penso solo che serva un po’ di cuore nella politica».
Religione Ateo, ma innamorato della bellezza del Vaticano. «Ogni volta che vado a San Pietro, mi commuovo».
Nobel Quando è arrivata la telefonata dell’Accademia di Svezia – gli comunicarono che aveva diritto a un assegno di 10 milioni di corone svedesi (1,02 milioni di euro), il diploma e la medaglia con l’effige di Alfred Nobel - era intento nella lettura di La dictature du chagrin, dell’esistenzialista svedese Stig Dagerman. Andarono a intervistarlo. «Che cosa farà con i soldi? “Pagherò i debiti”. E che cosa farà stasera a Parigi? “Andrò a letto presto, devo smaltire quindici ore di volo. Ieri ero in Corea”» (Nava).
Critica Quando andò a stare con gli indigeni in America Centrale, lo accusarono di essere cascato nel mito del «buon selvaggio». Harold Bloom, dopo il Nobel, lo definì «illeggibile» (peraltro, disse che Dario Fo era «semplicemente ridicolo» e che Doris Lessing «firma fantascienza femminista»).
Curiosità È il quattordicesimo Nobel per la letteratura francese, eppure, a Parigi, dice di sentirsi «uno straniero in una città per turisti» • È stato insignito della Legion d’Onore francese e dell’Aquila azteca messicana • Parla un po’ di cinese e un po’ di coreano. Studia la cultura maya e lo sciamanesimo estremo-orientale • Nel 2008 la versione in spagnolo di Wikipedia lo ha fatto morire d’infarto, con tanto di con doglianze alla famiglia da parte del presidente Sarkozy • L’asteroide 19132 Le Clézio fu chiamato così in suo onore • Anne Le Clézio, la figlia più piccola, nel 2013 fondò il gruppo indie pop Juniore • Nell’aprile 2020 ha lasciato la giuria del Prix Renaudot, uno dei più prestigiosi premi letterari francesi, annunciando di voler cedere il suo posto a una donna • Scrittori italiani preferiti: Carlo Emilio Gadda e Cesare Pavese • Divide la sua carriera in quattro fasi. La prima, prima di cominciare davvero a scrivere, in cui «ha letto molto». La seconda, in cui voleva «aggiungere qualcosa di mio a tutte queste letture». La terza, in cui «ho voluto trovare storie, personaggi». E la quarta, la più sofisticata: «Da un certo punto in poi la scrittura è scaturita invece da frasi che hanno bussato alla finestra. È un rumore di sottofondo che tento di catturare» • «Lo scrittore non ha messaggi da dare né filosofie da costruire. È un testimone del mondo. Non passo il mio tempo alla scrivania. Cerco di ascoltare le voci della realtà» • «Scrivere è un dolore o una gioia? “Non ho mai sofferto. Adesso che sto invecchiando l’unica cosa che mi angoscia è pensare che potrebbe mancarmi il tempo o la forza per scrivere» (Ginori) • «Spero che la gente continui a leggere romanzi, perché i romanzi non hanno risposte, ma pongono domande. Ecco, credo sia fondamentale continuare a porsi domande» • «Davvero non vuole dire nulla a proposito di quello che accade oggi nel mondo? “Soltanto che sono ottimista e che, secondo me, non c’è alcuna alternativa possibile. Bisogna guardare al futuro con fiducia, non si può e non si deve fare altrimenti”» (Zaccuri).
Titoli di coda «Essere sempre ricordato come premio Nobel la disturba? “Non ci faccio caso, direi che non è grave. Alla fine, il mio modo di scrivere è rimasto sempre lo stesso”» (Ginori).