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 2022  aprile 20 Mercoledì calendario

Biografia di Jula de Palma (Jolanda Maria Palma)

Jula de Palma (Jolanda Maria Palma), nata a Milano il 21 aprile 1932 (90 anni). Cantante. «Per molti anni il mio “personaggio” era stato danneggiato da tutto un discorso del sofisticato, del sexy, dell’antipatica alle donne. […] Insomma, nel ’60, ai tempi di Tua, mi consideravano una rubamariti» (ad Alessandro Binarelli) • Come raccontato su Bolero Film nel settembre 1956, «la giovinezza della cantante […] fu piuttosto movimentata. Nata a Milano, aveva solo cinque anni quando suo padre fu richiamato e mandato in Africa Orientale. Tutta la famiglia si trasferì in seguito ad Addis Abeba, dove la piccola Jula ebbe le prime soddisfazioni artistiche: cose da poco, che facevano sognare quella fanciulla dai capelli castani e dai grandi occhi scuri. Quando Jula tornò a Milano e comincio a frequentare il liceo classico, non si parlò più dei sogni, tanto che la ragazza si mise a studiare ben quattro lingue contemporaneamente: inglese, francese, tedesco e spagnolo». Nel frattempo iniziò a frequentare la compagnia filodrammatica studentesca La Baracca, di cui faceva parte anche Alberto Lionello. «Il debutto artistico di Jula avvenne a Milano, al Teatro Nuovo, primattrice di una compagnia teatrale studentesca. Il primo lavoro messo in scena fu un dramma in tre atti di Rognoni: Mita e Golù. Jula interpretava Mita, una parte un po’ difficile per una liceale, poiché, partendo dal personaggio di una spensierata diciassettenne, il lavoro si chiudeva sul dramma di una Mita quarantacinquenne madre dolente e disperata. Ma Jula se la cavò con molti applausi e con una lode di Renato Simoni. Terminato il liceo classico, Jula si dedicò alle lingue e letterature straniere. Con l’inglese giunse fino al diploma superiore di Cambridge» (Anna Luisa Meneghini). «Un giorno Jula uscì di casa con sua madre per comprare un disco e volle a tutti i costi raggiungere un negozio che aveva notato all’altro capo della città. Direttore era un giovane e già celebre cantante: Teddy Reno. Ed ecco che il caso mette in moto la sua macchina: Jula compra il disco, racconta a Teddy di alcune canzoncine che cantava ad Addis Abeba in serate familiari, Teddy la invita a fargli sentire la sua voce, e, appena ascoltata la prima canzone, la prega di tornare la sera stessa per farsi sentire anche dal maestro Luttazzi. Quella sera, dopo quattro ore di vocalizzi, di motivi francesi, inglesi, tedeschi e spagnoli, il maestro Luttazzi, sfinito, consacrava con un ultimo svolazzo sulla tastiera del pianoforte il nascere di una nuova stella. […] Con Teddy Reno la voce nuova della canzone italiana fu lanciata subito in alcune rubriche radiofoniche: Punto interrogativo, In due si canta meglio, e Strettamente confidenziale. Poi fu la solita storia: tournée, incisioni, televisione, radio» (Bolero Film). «È stata anche una delle prime disc jockey: poteva scegliere i dischi da mettere in onda. “La radio era la nostra vita, il nostro unico, vero mezzo di comunicazione con il pubblico. Ne ho fatta molta. Ricordo che giravo da un ufficio all’altro per far accettare i dischi dei cantanti che volevo mandare in onda! E quelli che piacevano a me spesso non erano quelli che andavano per la maggiore, allora dovevo adeguarmi e cambiare la scaletta. Ma è stato un grande periodo, anche perché lavoravo con attori e scrittori di prim’ordine. E poi c’erano le trasmissioni musicali! C’era entusiasmo, slancio, passione. Succedeva anche che, alla fine di una trasmissione dal vivo con l’orchestra, si restasse in sala: tre o quattro musicisti e un paio di cantanti a fare musica solo per noi, finché non ci cacciavano via!”» (Marco Ranaldi). «Debuttò alla radio […] con Lelio Luttazzi. Da allora ha cantato con tutti i maestri della Radio televisione italiana, da Kramer a Trovajoli a Savina a Fragna, sempre, comunque, fedele a Luttazzi. […] Ha un repertorio di circa millecinquecento canzoni, ma le sue predilezioni vanno segretamente alla musica jazz. Adora comunque le canzoni francesi ed è celebre per l’interpretazione di canzoni napoletane. […] Fu una delle prime cantanti ad apparire a Milano in spettacoli televisivi sperimentali» (Meneghini). Nel 1957 le nozze con Carlo Lanzi, «autore di canzonette e proprietario di un albergo di via Veneto. I coniugi […] si conobbero alla vigilia del Festival della canzone europea, cui il maestro Lanzi partecipava col suo motivo, Vecchio pino di Villa Borghese, interpretato dalla De Palma» (Alberto Macchiavello). «Si affaccia alla ribalta nei primi anni ’50, sfoggiando una vocalità prossima a quella delle grandi interpreti americane di impostazione jazzistica. Non sempre il suo repertorio è in linea con questo tipo di approccio, per l’Italia sicuramente innovativo, che le consente comunque di nobilitare anche brani di impianto tradizionale, grazie soprattutto a una voce suadente, intrisa di una sensualità che non manca di scandalizzare più di un purista (in tutti i sensi). Quintessenza di ciò (anche per la notorietà che il brano si guadagna) è la sua interpretazione di Tua, che nel 1959 l’artista porta a Sanremo (cinque in totale le sue partecipazioni al festival) e che non a caso le provoca l’ostracismo della Rai» (Enrico Deregibus). «Al Festival del 1959 ebbe l’ardire di cantare Tua, con dei “bollenti” versi che recitavano terribili affermazioni del tipo “Tua, tra le braccia tue, solamente tua, così”. Incredibile a dirsi, ma, benché premiata dalla giuria (quarto posto) e dal pubblico, la Rai ritenne che l’avesse cantata con troppo realismo, e per di più con un négligé (era in realtà un castissimo e sobrio vestito), e ne proibì la messa in onda alla radio» (Gino Castaldo). «Tua destò scalpore e fece scandalo per la sensualità dell’interpretazione. Cosa ricorda di quei giorni? “So soltanto che ho cantato una canzone d’amore pensando a quel che dicevo. Probabilmente è stato un atto di coraggio, in quel contesto. Ne hanno fatto un ‘caso’: se fossi stata abile, ne avrei potuto trarre vantaggio inventando romanzi segreti o giocando sul vittimismo quando la Rai proibì la messa in onda della canzone. Ma me ne sono guardata bene. Del resto, altri cantanti e imitatori l’hanno smitizzata e involgarita, rendendomi ancora più popolare. Inoltre, a ogni Festival di Sanremo, venivo citata e ricordata con Tua. Vuol dire che ho lasciato una traccia. E non soltanto come cantante jazz”» (Ranaldi). «Altri brani degni di nota sono Nel giardino del mio cuore (1957), Noi (1960) e A.A.A. Adorabile cercasi (1961), alla vigilia di un rapido declino che la accomuna a molti colleghi rimasti tagliati fuori dai nuovi modelli canori proposti dagli anni ’60» (Deregibus). Nel 1970, tuttavia, giunse quella che la cantante considera la sua consacrazione, al Teatro Sistina di Roma. «Quando Garinei ha accettato di inserirmi nei “Lunedì del Sistina”, prima e unica cantante italiana a realizzare uno “one woman show” – come avveniva con i grandi nomi internazionali –, tutte le mie forze si sono concentrate su quello show. Mio marito, insostituibile come sempre, ha lavorato con me alla scelta del repertorio, dei vestiti, delle idee. Alla fine abbiamo presentato l’idea a Gianni Ferrio. Quando “il genio” ha detto sì, ci siamo ritrovati in quattro – Gianni, sua moglie Alba Arnova, Carlo e io – in lunghe, splendide serate a trovare idee, a decidere il repertorio. Gianni ha curato gli arrangiamenti, mentre Carlo e io abbiamo preparato la scaletta. Quella di Ferrio era un’orchestra composta dai migliori solisti della Rai di Roma; io mi sono anche incaricata di contattare i dirigenti tv per la versione televisiva. Alla fine è andata, solo che per motivi tecnici la ripresa non è stata fatta al Sistina ma in un teatro della Rca: da lì è uscito anche il disco Jula al Sistina. Quelle riprese, con il titolo Serata d’onore per Jula de Palma, sono di assoluta proprietà Rai. Le hanno trasmesse varie volte, ma sono davvero oltre. Dopo quello show penso che non mi restasse altro da dire nell’ambiente». «L’ultima apparizione televisiva di Jula è nella trasmissione Milleluci condotta da Mina e Raffaella Carrà nel 1974: la De Palma si esibisce nella puntata dedicata alla radio interpretando con le due conduttrici Tulipan del Trio Lescano e una versione jazzata di Pippo non lo sa e l’amico Gianni Ferrio le dà man forte con l’arrangiamento. Il suo ultimo concerto lo tiene a Catania nel dicembre 1974. Al termine dell’esibizione Jula esce di scena dicendo: “Questa è l’ultima volta che canto in Italia”. È la fine della sua carriera, con il ritiro volontario dalle scene e il trasferimento in Canada, […] dove risiede tuttora» (Massimo Emanuelli). «Dicono che Jula lasciò l’Italia per la paura dei rapimenti che in quegli anni cominciavano il loro triste cammino… Forse è vero, forse no: certo una grande amarezza per l’inutilità della sua bravura deve averla aiutata a prendere quella decisione» (Carlo Loffredo). Tornò a esibirsi davanti al pubblico italiano solo nel 2001, «ospite della trasmissione Ci vediamo in tv condotta da Paolo Limiti, in una puntata durante la quale si parla della sua carriera e nella quale si esibisce in un medley di vecchi successi, dimostrando a distanza di anni e come sempre la sua straordinaria bravura» (Emanuelli). Confessò allora di aver provato «un’emozione forte, mi tremavano le gambe: erano 27 anni che non cantavo in pubblico. Non mi aspettavo una reazione così: applausi, telefonate, lettere. È stata una “due giorni” meravigliosa: è bello sapere che la gente non mi ha dimenticata». Nel 2009 ha dato alle stampe Tua per sempre. Autobiografia della signora del jazz italiano (Coniglio) • Una figlia, Simonetta Lanzi, avvocato, dal marito Carlo Lanzi • «Interprete bravissima, di impostazione jazzistica. Una voce calda, sensuale» (Giuliano Capecelatro). «Jula de Palma è stata una delle voci più curate e avvincenti della canzone italiana ed è stata, prima di Mina, la più intensa sperimentatrice di generi: esordisce cantando in francese e conclude la sua carriera cantando in inglese. Ma soprattutto è stata in grado – pur nella sua non lunghissima carriera – di esibire un tratto vocale che ancora oggi risulterebbe preziosissimo per il nostro panorama musicale» (Ranaldi). «Sofisticata, educata al jazz, la De Palma riuscì, pur essendo una vocalista di grande valore, a conquistare una discreta popolarità» (Castaldo). «La migliore cantante “swing” che sia nata in Italia e che abbia fatto partecipi gli italiani delle sue interpretazioni sempre ad altissimo livello, che fossero canzoni tedesche di Kurt Weill, francesi di Charles Trenet, americane di Kern, Berlin o Gershwin o italiane composte dai nostri “immortali” D’Anzi, Kramer, Luttazzi o Carlo Alberto Rossi. Tutte le esecuzioni di Jula avevano un solo… “difetto”: quello della perfezione; e questo, in un mercato italiano diseducato al bello per causa di tanta robaccia che Rai ed emittenti consorelle mandano in onda da decenni, poteva paradossalmente ritorcersi contro la stessa Jula. […] L’ignoranza nazionale non aspettava altro che Tua per potersi interessare della De Palma, solo per quel senso di “peccato” che aleggiava tra i versi della canzone» (Loffredo). «Una vera “jazz singer” italiana! In possesso di una straordinaria personalità, dotata di un timbro limpido, di splendide inflessioni vocali. Ma, soprattutto, Jula aveva quello swing che riusciva a trasmettere quando interpretava le canzoni che particolarmente amava. […] È stata la cantante più moderna in assoluto della musica leggera italiana» (Dante Panzuti). «Effettivamente Jula precorreva un po’ i tempi per l’Italia: il suo modo espressivo molto sensuale è stato inteso male. E pensare che in quell’epoca era l’unica che si distinguesse per originalità. […] Jula aveva una personalità inconfondibile, che, a mio avviso, ha fatto bene a mantenere anche a scapito della grande popolarità. A confronto con le sue colleghe italiane era decisamente diversa. Lasciatemi dire che alcune erano protette dall’ente radiofonico. Jula marciava sola» (Giampiero Boneschi). «Sono trascorsi gli anni, ma l’”aristocrazia” vocale di Jula de Palma è rimasta unica» (Lelio Luttazzi) • «Quali le canzoni che avrebbe voluto studiare e che non ha mai inserito nel suo repertorio? “Se si riferisce agli inizi, ricordo che, pur amando molto le canzoni francesi, avrei voluto cantare subito le canzoni americane che ascoltavo e imparavo dai dischi. Più avanti, quando finalmente la canzone italiana aveva come ‘parolieri’ i cantautori, ho messo in repertorio Paoli, Tenco e altri. Avrei voluto essere io la prima a cantare le loro canzoni. Ma purtroppo non è stato così”. […] Quanto si sentiva interna alla musica leggera di allora? “Il mio repertorio, o, meglio, il mio modo di cantare era al di fuori delle regole del tempo. E non ho avuto mai una casa discografica che fosse pronta a spendere qualche lira per promuovermi. Io, le dico la verità, giocavo. Mi piaceva cantare e fare dischi. Mi buttavo in ogni impresa con l’ingenuità e l’entusiasmo di una ragazzina anche dopo essere cresciuta sia come età che come notorietà. L’aiuto di mia madre e poi di mio marito sono state due cose vitali per me, sentimentalmente e umanamente. Ma nessuno di noi aveva il senso del marketing, e non prendevamo la mia carriera come un business. Si programmavano le date, si cercava di incidere dischi come meglio si poteva, ci si fidava – almeno in parte – dei dirigenti e delle loro promesse e poi si restava scottati. Aggiunga a questo il fatto che io non avevo le componenti divistiche (scandali e scandaletti, capricci e litigi) che attirano il pubblico. Ancora oggi mi domando come abbia potuto, solo cantando e faticando, farmi un nome rispettato e anche amato”» (Ranaldi) • «Non volevo scendere “l’altro lato della collina”, come dicono gli americani! Speravo e volevo concludere mentre ero ancora nella mia estate. Volevo che il mio nome restasse sospeso nel vuoto e che il pubblico si domandasse dov’ero andata a finire, forse anche con un poco di nostalgia».