la Repubblica, 5 maggio 2022
Intervista ad Andra Day
Alla galleria di biopic musicali che continuano ad arrivare in sala si aggiunge il potente ritratto di Andra Day in Gli Stati Uniti contro Billie Holiday,da oggi al cinema. Del film, scritto dal premio Pulitzer Susan-Lori Parks e trasformato in un melò da Lee Daniels (The butler),la cantante è di gran lunga l’elemento più convincente. Per l’interpretazione sofferta, tra sensualità e passione civile, per le incredibili esibizioni canore, che le sono valse la candidatura all’Oscar e la vittoria ai Golden Globe. Negli anni Quaranta l’icona della musica jazz Billie Holiday, famosa nel mondo, diventa per il governo federale statunitense il capro espiatorio in una battaglia contro la droga, con un accanimento sulla sua vita fragile e complicata, che si spegne nel 1959 a 44 anni. La vera missione era impedirle di eseguire Strange fruit, canzone di denuncia dei linciaggi ai danni degli afroamericani e contributo essenziale al Movimento per i diritti civili.
Nel film lei canta tutti i brani.
«Sì, solo e sempre io. Quando hosmesso di fuggire dal film, che mi terrorizzava, sono partita dai concerti: era fondamentale che la voce fosse mia, nei dialoghi e nelle canzoni. Da fan di Billie Holiday essere in grado di cantare la sua musica, vivere con lei, è stata la sfida della vita. Arrivare a quella voce è stato un viaggio».
Ha scoperto Billie Holiday e la sua musica a 11 anni.
«Me la fece conoscere un insegnante di canto. Ho sentito
Sugar eStrange fruit.Erano diverse da tutto ciò che conoscevo, uno shock. La sua voce mi ha confusa, diversa da quelle di Whitney Houston o Aretha Franklin. Mi ha coinvolta, catturata, ferita. Allora non mi piaceva il suono della mia voce, anche oggi non lo amo ma lo accetto. Mi commoveva che lei fosse davvero tutta nella sua voce. E intuivo, anche se non in modo consapevole, che Strange fruit,fosse importante».
Dopo la voce ha scoperto la storia di Billie.
«Sapevo che il governo l’aveva braccata, ma non immaginavo che sacrificio sia stato per lei cantare quella canzone. La sua forza nel sopportare il dolore, la sua fede nel lavoro ci ha unito, i nostri spiriti sono fusi insieme. Ho lavorato sul dialetto, cercato il modo di di infonderle il mio vissuto.Mi sono aggrappata al suo modo di cantare, alla sua risata così inconfondibile, al suo respiro. Ho fatto tante ricerche, rilettoLa signora canta il blues,e poiWith Billie,un libro sul rapporto con i suoi cani. Ogni articolo, ogni dettaglio è stato importante, anche per la trasformazione fisica: gliocchiali colorati, i capelli tagliati, il profumo preferito, la perdita di peso, il bere e fumare sigarette».
“Strange fruit” è stato un simbolo politico forte.
«Prima di tutto rappresentava la libertà, l’unità. Billie è stata una delle prime artiste a integrarsi.
Esibirsi alla Carnegie Hall harappresentato qualcosa di enorme, soprattutto per lei. Era appena uscita di prigione, era magnetica, univa le persone. E usava la canzone per parlare del terrore razziale in America, di linciaggio.
Questo ha spaventato l’establishment, che ha pensato a una sfida, una minaccia allosfruttamento dei neri, all’ego: come osava, questa donna nera? Il suo sacrificio nell’andare avanti, il prezzo pagato mi commuovono».
Lei ha cantato “Strange fruit”.
«Essendo una nera in America, mi sono aggrappata al vissuto. Un linciaggio è uno spettacolo orribile, basterebbe a sconvolgerti. Ma hopotuto attingere al mio dolore, la nostra comunità ha fin troppa familiarità con questa tragedia. I parenti, gli amici, le persone che ci assomigliano muoiono di continuo. Ho provato disagio per il fatto che, ancora oggi, capissi intimamente ciò che aveva vissuto lei».
Quando ha scoperto la musica?
«A sei anni cantavo Whitney Houston, Aretha, Stevie Wonder e Luther Vandross, i preferiti di mio padre, con lui e mamma urlavamo a squarciagola in cucina. Da ragazzina ho frequentato una scuola di spettacolo, di danza, sapevo di voler essere un’artista. Ho trovato la mia strada nella musica.
Ricordo un’esibizione ai Grammy, è stata un miracolo. Dovevo cantareRise up ma avevo mal di gola, ero senza voce. Un medico mi ha fatto una seduta di terapia, la voce è uscita».
Il momento più difficile finora?
«Quando per la prima volta mi sono arresa. Ed è stato proprio prima che scrivessi Rise up. A un amico era appena stato diagnosticato un cancro, la carriera era stagnante, ogni sacrificio inutile. Poi quel brano è esploso, è stata una benedizione perché mi sono rialzata davvero. Certo, ho conosciuto momenti più drammatici ma coinvolgono altri membri della famiglia e non ne voglio parlare, perché entrerei nelle loro vite».