la Repubblica, 5 maggio 2022
Intervista a Corrado Formigli
Corrado Formigli, Alessandro Orsini a Piazza Pulita è una sua scoperta?
«Non è vero. Andava in tv anche prima, come esperto di Is. Nel 2016 scrivemmo entrambi libri sul terrorismo islamico. Lo vedevo in televisione».
Ma come nasce l’idea di invitarlo per parlare della guerra?
«Conoscevo le sue posizioni contrarie all’invio di armi. In quel momento le portavano avanti in pochi. Era un punto di vista interessante. E i talk vivono di punti di vista diversi».
Lei è sempre stato favorevole agli aiuti militari?
«Sì, e quindi questo dovrebbe fugare ogni sospetto sul fatto che io mi sia fatto condizionare “dal lento lavoro di influenza della Russia”».
Questo lo sostiene la politologa Nathalie Tocci.
«Ed è falso. Sono esterrefatto che si possa pensare che io prenda ordini dall’ambasciata russa. È da querela. Faccio il giornalista e sono artefice delle mie scelte».
Ma Orsini che titoli aveva?
«Era un docente a Tor Vergata, e un capo dipartimento alla Luiss. Non bastano?».
Perché non è più ospite di Piazza Pulita?
«Non viene da quattro settimane.Ha scelto altri programmi. Ho sempre evitato di invitare ossessivamente lo stesso ospite».
Nel frattempo il sentimento non ostile a Putin però è cresciuto tra gli italiani.
«Sono dubbi cresciuti spontaneamente, strada facendo».
Molti fanno notare che i filo Putin prima erano no Vax.
«Può darsi, ma non mi convince l’equiparazione. E lo dico da inviato di guerra: raccontare un conflitto non è come narrare la pandemia, dove occorre affidarsi agli esperti e vaccinarsi. Se si vuole raggiungere la pace serve percorrere molte strade, anche impervie. E una pluralità di voci può aiutarci a trovarle».
Enrico Mentana dice che lui i filo Putin non li invita.
«Cristiane Amanpour ha intervistato Peskov, il portavoce di Putin, e mi pare che Mentana l’abbia mandata in onda. Io in trasmissione inviterei anche Putin».
Come si intervista Putin?
«Bisogna fare una mediazione, e non da megafono. Fare tutte le domande. Se avessi potuto io avreiintervistato anche Bin Laden. E se fossi vissuto nella seconda guerra mondiale pure Hitler».
Come giudica l’intervista a Lavrov?
«Un grande colpo giornalistico».
Lo avrebbe intervistato allo stesso modo?
«Avrei fatto qualche seconda domanda in più».
In Rai vogliono porre delle regole.
«Sono grottesche. Chi le decide? Il politico di turno? Allora sì che diventiamo come la Russia».
Non c’è il rischio che si diffondano fake news?
«La gente è accorta. Distingue benissimo. Gli italiani sono scettici per natura, amano la complessità.
Ci sono già così tanti giudizi a cui dobbiamo sottostare».
Quali?
«Il pubblico, per cominciare. Poi la legge. Il codice deontologico. E infine c’è il tribunale dei social.
Quattro esami ogni volta».
Il sospetto sulla penetrazione della propaganda russa nella tv italiana agita anche il Copasir.
«Si saranno sentiti con Nathalie Tocci. Ma su, dai. È una barzelletta».
Lei però la Tocci la invitava?
«È venuta quattro volte».
Quindi rivendica il pluralismo?
«Perché non è giusto sentire figure di grande valore come Slavoj Zizek, Carlo Rovelli, Toni Capuozzo o Bernardo Valli? Dicono che non bisognerebbe invitare Rovelli, perché non è un esperto di geopolitica. Ma la guerra riguarda tutti. E io faccio il giornalista. Oggici sarà Vera Politkovskaja, la figlia di Anna».
Come spiega il sentimento putiniano in Italia?
«Non ridurrei il tutto al filo putinismo. C’è un’enorme preoccupazione sulla guerra. Unita a un dolore grande per la sofferenza del popolo ucraino.
Cresce perciò la domanda su come fermare le armi. L’escalation mette paura, può colpire anche noi».
Come evolverà la guerra?
«Sarà lunga. È una questione di sopravvivenza per Putin. Perciò non basta solo armare gli ucraini, ma serve più diplomazia perché la guerra altrimenti ci travolgerà. Il punto è che serve un compromesso che vada bene ad entrambi, a Putin e a Zelensky. È questo il nodo».