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 2022  maggio 05 Giovedì calendario

Perché Wagner è diventato il simbolo del male tedesco

Perché il gruppo di mercenari nell’esercito russo, il più temuto, e crudele, formato da ex detenuti e terroristi, si chiama Wagner, in onore del compositore tedesco? Apocalypse now, il film di Francis Coppola sulla guerra in Vietnam, si apre con la Cavalcata delle Valchirie, che accompagna il volo degli elicotteri che portano distruzione e morte. Dal tragico al comico, in uno dei suoi film Woody Allen confida «quando sento un’opera di Wagner mi viene voglia di invadere la Polonia».
Wagner è diventato il simbolo del male tedesco, del nazismo. Fin da giovane, Hitler amava la sua musica, e anni prima di conquistare il potere era un amico di famiglia a casa Wagner, a Bayreuth. Quando era in viaggio tra Monaco e Berlino faceva sempre tappa nella città diventata il tempio wagneriano. Winifried Wagner, moglie di Siegfried, il figlio del compositore, spasimava per lui, tanto da far nascere la voce che fosse la sua amante. Lo avrebbe forse desiderato, ma il Führer non pensava alle donne. Quando giungeva in visita prendeva sulle ginocchia il piccolo Wolfgang il figlio di Winifried, che lo chiamava Onkel Wolf, zio Wolf, lupo, il nomignolo del Führer.
Wagner è il primo musicista globale, quando morì a Palazzo Vendrami a Venezia, il 13 febbraio 1883, a 70 anni, furono spediti cinquemila messaggi in tutto il mondo per annunciarne la fine. È un genio, sempre rappresentato ovunque, tranne in Israele, amato e odiato.
Al Deutsches historisches Museum di Berlino, si è aperta la mostra Richard Wagner e das deutsche Gefühl (fino all’11 settembre), Wagner e il sentimento tedesco, per sciogliere il suo enigma. Compositore, poeta, scrittore, impresario e bancarottiere, rivoluzionario e amico dei potenti, disposto a tutto per creare a Bayreuth la sua cattedrale. Impossibile dare una risposta, come sapevano i curatori.
Per conquistare un biglietto al Festival di Bayreuth c’è una lista d’attesa di anni. Come si sa, Angela Merkel e il marito erano presenti ogni anno all’apertura. Dall’arte al turismo di massa. A Bonn, abitavo sull’altra sponda del Reno, a Königswinter, sotto la rocca dove Sigfried avrebbe ucciso il drago. Arrivavano a frotte i turisti, dalla Germania e dall’Europa, in pellegrinaggio nel luogo più tedesco possibile, per un mito creato da Wagner.
«Io sono il più tedesco dei tedeschi, io sono lo spirito tedesco», nel 1865 lo scrisse nel diario, e sei anni dopo dedicò la poesia Dem deutschen Heere, all’esercito tedesco, al cancelliere Otto von Bismarck, che aveva battuto la Francia e fatto nascere il Reich.
Nel maggio di quell’anno, il 1871, andò a Berlino per dirigere innanzi al Wilhelm I la sua Kaisermarsch. Era in preda all’orgoglio nazionale, eppure nel 1848, l’anno che sconvolse l’Europa, dovette fuggire da Dresda per non finire in prigione come rivoluzionario. Andò a Parigi dove ascoltò la musica italiana e francese, che non amava. Inutile ricordare che per lui Verdi era un compositore folcloristico e provinciale.
La mostra è divisa in quattro sezioni, Entfremdung, Eros, Grundgefühl, und Ekel. La prima, alienazione, esamina la maturazione e l’evoluzione dell’artista in un secolo di rapido cambiamento, in economia, società, arte. Wagner vive l’inizio della rivoluzione industriale, scrive due saggi fondamentali Die Kunst und die Revolution, l’arte e la rivoluzione, e Das Kunstwerk der Zukunft, l’opera artistica del futuro. Un ampio spazio è dedicato all’altro grande spirito tedesco, a Karl Marx.
L’Eros è Tristano e Isolde e Lohengrin e Elsa, ma non solo. Un erotismo wagneriano sempre vagamente morboso, vischioso. Amore contro potere. Grundgefühl, l’emozione di base, è il sentimento di identità nazionale. L’artista si identifica con l’idea stessa dalla nazione tedesca.
L’ultima sezione, Ekel, disgusto ribrezzo, è quella oggi più attuale, che racconta e spiega il suo antisemitismo. Nel 1850 scrisse il pamphlet Das Judentum in der Musik, il giudaismo nella musica, firmato con uno pseudonimo.
Wagner, rifiuta tutto quel che non è tedesco, gli ebrei devono essere annientati, sparire, rinunciare a se stessi, alla loro identità, storia e cultura, se vogliono vivere in Germania.