Corriere della Sera, 5 maggio 2022
Una sporca guerra economica
Da quando si è diffusa la voce che l’Unione europea preparava un embargo sul petrolio russo, la scorsa settimana, il prezzo del barile di Brent è salito del 10,5%. Ieri era a 110 dollari, cresciuto del 5% in una giornata in cui peraltro i governi europei non sono riusciti a trovare un accordo sul punto. Per ora l’Ungheria blocca il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca, che tra l’altro include misure alle quali per due mesi la Germania si era sempre silenziosamente opposta e ora accetta in ritardo: fra tutte l’esclusione dai sistemi di pagamento di Sberbank, la prima banca russa. Ma in Europa i diritti di veto si pesano, non si contano. Plausibile dunque che Viktor Orbán, l’autocrate eletto quasi democraticamente a Budapest, finisca per dare il via libera in cambio di qualche concessione. A quel punto l’intera Unione europea avrà varcato un confine invisibile, ma essenziale: ora siamo realmente nel territorio in cui le sanzioni presentano costi su larga scala anche per noi. Finora si erano bloccate esportazioni che valgono circa un decimo del fatturato europeo in Russia, meno dell’1% dell’export europeo totale. Ora è diverso. L’intervento sul petrolio poteva essere meno traumatico, magari introducendo il tetto ai prezzi suggerito dagli Stati Uniti. Ma era inevitabile dall’inizio che, in questa sporca guerra economica, presto o tardi dei sacrifici si sarebbero presentati anche per noi. Se l’Unione europea vuole conservare il sostegno della sua opinione pubblica, ora deve reagire con un salto di qualità politico come durante la pandemia.