il Giornale, 5 maggio 2022
Nella stanza segreta di Umberto Eco
Cos’è una biblioteca? Può essere un accumulo scientifico del Sapere. O il Paradiso, come pensava Jorge Luis Borges, ma anche un inferno, come alla fine scoprì l’anziano monaco Jorge da Burgos nell’abbazia del Nome della rosa. Spesso per alcuni malati bibliomani la biblioteca è la distruzione di un patrimonio, e a volte anche del matrimonio. La biblioteca, si dice, è la teca simbolica della civiltà umana. Ma può essere anche un’avventura intellettuale, o un’ossessione. Ecco: Umberto Eco – professore, scrittore, semiologo, romanziere, scriptor optimus e bibliofilo anomalo – di biblioteche ne aveva due. Una, strapiena di testi diciamo così moderni – circa 40mila volumi – era la biblioteca di lavoro. L’altra, composta da 1300 selezionatissimi testi antichi e rari, era la sua ossessione... La chiamò, con humour pomposo, «Biblioteca semiologica, curiosa, lunatica, magica et pneumatica», se la costruì, pezzo su pezzo – fra librerie antiquarie, bouquiniste e capitali straniere – nel corso di quarant’anni di fameliche battute di caccia alla carta, e vi radunò il meglio delle scienze non esatte: prime edizioni di volumi sui falsi e le falsificazioni, l’alchimia, il mostruoso, l’occulto, l’antica geografica, la magia, la demonologia... Lo incuriosiva più Tolomeo, cioè l’eresia, che Galileo, il dogma. Il fascino dell’errore. Che è, appunto, un’altra forma dell’ossessione.
Umberto Eco, portando con sé le proprie ossessioni, se ne è andato nel 2016, lasciando le sue immense biblioteche nel grande appartamento circolare, con le solette dei pavimenti rinforzate, affacciato su piazza Castello a Milano. E ora – ci si chiese – dove andranno i libri del Professore più semioticamente simbolico dell’intellettualità italiana?
Dopo due anni di riflessioni, che hanno coinvolto gli eredi, lo Stato e varie istituzioni pubbliche, la risposta è arrivata nel 2018, quando il ministero della Cultura – inciso: bisogna dire «Bravo» a Dario Franceschini, quando ci vuole ci vuole, e anche al direttore di Brera, James Bradburne, che ha fortemente sostenuto l’operazione – ha acquistato per 2,5 milioni di euro il fondo dei 1300 libri antichi (gli esperti dicono essere prezzo congruo) con la clausola che contestualmente la famiglia Eco donasse la parte moderna, cioè gli altri 40mila volumi più l’archivio personale. Bene. Il secondo blocco, il più corposo, andrà in comodato d’uso alla Biblioteca dell’Università di Bologna, dove Eco insegnò a lungo. Il primo, il più prezioso, è rimasto alla Braidense, a Milano, dove visse e lavorò fin dagli anni Cinquanta. C’è voluto tempo per definire gli accordi, transare, spostare le casse, catalogare e allestire la nuova casa per i libri antichi di Eco, ma ora ci siamo.
Eccoli qui, nello stesso ordine che aveva scelto lui, sezione per sezione, disposti secondo «la legge del buon vicino» del critico tedesco Aby Warburg secondo cui il libro che ci occorre è solitamente accanto a quello che stiamo cercando... Gli imperscrutabili labirinti del Sapere ti conducono sempre alla pagina giusta.
Benvenuti nello «Studiolo» di Umberto Eco, primo piano della Biblioteca Nazionale Braidense, fra il Medioevo fantastico e Brera: accanto alla «Sala Manzoniana» da oggi apre uno studiolo, 30 metri quadri scarsi per contenere la parte eretica della Conoscenza universale. Qui è ricostruita, più o meno con le stesse misure e gli stessi mobili di sobrietà monacale, la «Stanza degli Antichi» di casa Eco. Ci sono incunaboli, aldine, cinquecentine... c’è il De Civitate Dei (1470) e naturalmente una copia (perfetta peraltro) dell’Hypnerotomachia Poliphili (1499), il «libro più bello del mondo» (anche il più costoso), c’è il Malleus maleficarum (1492), il più famoso trattato sulla stregoneria mai scritto, e poi il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto, di cui Eco possiede la terza edizione della versione latina stampata a Venezia nel 1481; c’è la Polygraphiae libri sex di Trithemius (1518), il De umbris idearum di Giordano Bruno (1582), ci sono le prime opere stampate dai Rosacroce, come Allgemeine und General Reformation (1681) e Chymische Hochzeit (1616); gli scritti dell’alchimista Michael Maier e del filosofo naturalista Robert Fludd come l’Utriusque Cosmi Historia (1617); c’è l’Amphiteatrum Sapientiae Aeternae di Heinrich Khunrath (nella seconda edizione, del 1609), quasi tutte le opere del gesuita Athanasius Kircher, e l’Atalanta Fugiens del medico-musicista tedesco Michael Maier, uno dei testi simbolici, stampati dai torchi De Bry di Oppenheim, che definirono il mondo occulto delle corti rinascimentali, combinando neoplatonismo, Cabala, ermetismo e alchimia...
Niente telefono, niente computer, ci sono però il suo flauto dolce, i bastoni da passeggio, le pipe, i suoi pupazzetti dei Peanuts, uno specchio convesso, la riproduzione, in scala ridotta, della Stele di Rosetta, un vaso con dei testicoli di Canis familiaris sotto formalina... E non distante una copia della Monstrorum historia del naturalista Ulisse Aldrovandi (1522-1605) con centinaia di dettagliate xilografie che raffigurano creature mitologiche e incredibili casi di malformazioni umane e animali. Aberrazioni e ossessioni.
I libri di Eco sono da oggi a disposizione degli studiosi, intoccati dopo di lui: infilati fra le pagine ci sono ancora gli ex libris, lettere, fogliettini, annotazioni... La vedova, Renate, e i figli, Carlotta e Stefano, sono qui, felicissimi di vedere ricollocato il vecchio studio di famiglia. «La Braidense era il destino naturale della biblioteca antica di papà», dice Stefano, che è la copia anastatica del padre, nel fisico, la barba, i lineamenti e la compostezza.
Intanto, qui accanto, nella grande «Sala Maria Teresa» si inaugura la mostra L’idea della Biblioteca (resterà aperta fino al 2 luglio) che ci regala un assaggio di quello che si potrà fare con i libri più preziosi di Eco. Farli parlare con la modernità. Ed ecco, in una serie di grandi teche, una selezione dei libri antichi e rari – aperti alle pagine più spettacolose – che hanno costituito la prima fonte di ispirazione per i grandi romanzi del Professore, titolo per titolo, dagli erbari medievali per Il nome della rosa ai trattati sugli «Horologii oscillatorii» del Pendolo di Foucault fino a un introvabile albo di Topolino giornalista, del 1936, per La misteriosa fiamma della regina Loana. Ma ormai la pagina è finita, «fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus».