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 2022  maggio 04 Mercoledì calendario

QUEI LIBERTINI GAUDENTI CHE INVENTARONO LA DOLCE VITA (A COLPI DI BATTUTE) - VINCENZO CARDARELLI ERA "IL PIÙ GRANDE POETA MORENTE"; MARIO PANNUNZIO, "IL PROFETA DEL PASSATO"; IL CLAUDICANTE ALBERTO MORAVIA, "L'AMARO GAMBAROTTA" - ALLA FINE DEGLI ANNI SESSANTA, ATTRAVERSANDO PIAZZA DEL POPOLO IN COMPAGNIA DI UN COLLEGA, ENNIO FLAIANO INDICÒ UNA COMITIVA DI GIOVANI CAPELLONI ATTOVAGLIATI RUMOROSAMENTE AI TAVOLI DEL CAFFÈ ROSATI. “VEDI QUELLI? CREDONO DI ESSERE NOI” -

«Il conte Carandini fermo come Torre in Pietra che non crolla lancia il manifesto della nuova Internazionale: "Agricoltori di tutto il mondo unitevi! La terra ai Carandini!" » . Chi altri se non la penna caustica di Ennio Flaiano ( «mi spezzo ma non m' impiego») poteva condensare in un epigramma la figura del conte Nicolò Carandini, partigiano, liberale e proprietario della tenuta di Torre in Pietra e insieme ironizzare su uno slogan del Pci?

Nella Roma del dopoguerra, l'arte del motteggio e del calembour, della facezia e dell'arguzia, talvolta anche licenziosa, aveva il suo palcoscenico naturale nei tavoli dei caffè. Che fosse il bar Rosati, a piazza del Popolo, o il caffè Aragno, in via del Corso nel palazzo oggi occupato da Apple, o Babington, in piazza di Spagna, o l'Antico Caffè Greco, in via dei Condotti, una carovana di straordinarie intelligenze e di spiriti liberi affrontava una quotidiana transumanza da un caffè a un ristorante.

Giornalisti, scrittori, sceneggiatori, pittori, registi, scultori a una cert' ora del giorno, più spesso al calar del sole, a un segnale mai convenuto, si ritrovavano a occupare gli stessi tavoli, reduci dalla redazione di un giornale, o da un'atelier o da uno studio di Cinecittà.

Federico Fellini e Ugo Pirro, futuri pluripremiati con Oscar e David dì Donatello, Giovanni Russo, Mario Missiroli, Ennio Flaiano, Pier Paolo Pasolini ed Elsa Morante, Alberto Moravia (" l'amaro Gambarotta", era il calembour coniato per lui dallo scultore Mazzacurati).

Sui tavoli di quei caffè hanno preso corpo sceneggiature di film, come accadeva per Roberto Rossellini, frequentatore del caffè Strega di via Veneto: lo stesso da un cui tavolo il sulfureo Flaiano vedeva avanzare Vincenzo Cardarelli, intabarrato d'estate come a Natale, per apostrofarlo come " il più grande poeta morente"; o idee per un romanzo o un saggio.

Mario Pannunzio (" il profeta del passato", secondo lo spirito caustico del solito Mazzacurati) aveva nel caffè Rosati una succursale della redazione del Mondo, che era in via della Colonna Antonina, di fronte alla Camera.

Il caffè Aragno era stato, negli anni del regime, la meta prescelta dagli antifascisti che si ritrovavano nella terza sala interna. Dalla fine della guerra fino a tutti gli anni Settanta, in quel triangolo compreso fra piazza del Popolo, via del Corso e via Veneto si ritrovò quella società di intellettuali e di artisti, testimoni dell'effervescenza e della creatività di un Paese uscito materialmente distrutto dalla guerra ma ricco di energie civili e morali che sapevano felicemente esprimersi nelle diverse forme dell'arte.

L'Italia pluripremiata nel cinema a Hollywood, con Fellini, e la nomination per Rossellini, non era più solo il Paese sconfitto, ma si imponeva sempre più come una nazione in grado di risollevarsi faticosamente e non senza contraddizioni fino a ritrovare una propria identità. Roma, con i suoi caffè e i giovani talenti squattrinati che li frequentavano, fu in qualche modo il motore della rinascita civile, aiutata in quegli anni anche dal prestigio e dall'autorevolezza che circondava la politica.

Del fervore di quella stagione, delle speranze come delle inquietudini che accompagnavano quella generazione, Eugenio Scalfari è stato autorevole protagonista e testimone. La sera andavamo a via Veneto, uscito nel 1986, è un po' il regesto degli anni che dal Mondo di Pannunzio rotolarono, sotto la sferza degli eventi, verso la nascita di Repubblica. A via Veneto capitava saltuariamente un altro testimone d'eccezione, Giovanni Russo, "Giovannino" lo chiamavano gli amici, inviato speciale del Corriere della Sera e autore di grandi inchieste sulle condizioni del Mezzogiorno.

 «Con Flaiano e Fellini in via Veneto, Dalla Dolce vita alla Roma di oggi» non è solo la sua memoria affettuosa o nostalgica di una stagione irripetibile, o non ripetibile in quegli stessi modi. È piuttosto l'amara delusione di chi ha visto sfiorire fino a spegnersi quella tensione civile e morale grazie alla quale l'Italia poteva riconoscersi nella sua storia. Alla fine degli anni Sessanta, attraversando piazza del Popolo in compagnia di un collega, Ennio Flaiano indicò una comitiva di giovani capelloni attovagliati rumorosamente ai tavoli del caffè Rosati. « Vedi quelli? - disse Flaiano credono di essere noi».