Corriere della Sera, 4 maggio 2022
Aborto e non solo, Amazon pronta a sostenere i costi dei viaggi dei dipendenti costretti a recarsi in altri Stati Usa per trattamenti medici
Non è immediato pensare ad Amazon come a una trasposizione moderna dell’azienda illuminata olivettiana. Di certo non dopo aver visto Nomadland, con una insuperabile Frances McDormand, sul fenomeno dei lavoratori stagionali che si ritirano nel deserto. Ma la battaglia civile a cui ha deciso ora di partecipare Amazon – e che sembra spuntare dagli anni Sessanta: Texas, e forse più in generale Stati conservatori, contro il diritto all’aborto – potrebbe passare alla storia. Anche perché quella che sta emergendo sembra solo la punta di un iceberg, con un movimento e una concentrazione di società americane sempre più schierate contro questo rigurgito del Novecento. Dallo scorso settembre il Texas ha vietato l’aborto all’interno dei propri confini dopo la sesta settimana di vita del feto. Niente vieta di mettersi in viaggio e chiedere l’assistenza per l’aborto in un altro Stato. Niente, a parte i costi di viaggio. Il tema è l’asimmetria sociale. Così Amazon ha deciso di sostenere le spese di questi spostamenti fino a 4 mila dollari annui, anche per altri trattamenti medici, senza escludere le esigenze dei transgender. Altri Stati hanno introdotto delle restrizioni e comunque in molti aspettano la decisione sul tema della Corte Suprema. Per questo Amazon, con 1,1 milioni di dipendenti solo negli Usa, non ha limitato la copertura al Texas, ma a tutto il territorio statunitense. Anche se il Texas rimane l’occhio del ciclone: secondo recenti statistiche, circa 1.400 donne al mese escono dal confine per poter abortire. Amazon non è la prima: negli ultimi mesi società come Citigroup (che ha 8.000 dipendenti in Texas), Salesforce, Yelp, Uber, avevano già avviato dei pacchetti di welfare sanitari simili. Non poco negli Usa dove la sanità pubblica non ha mai vinto la propria battaglia, nemmeno con l’ambizioso ma fallimentare progetto di Obama, l’Obamacare. «L’aborto sta diventando un problema aziendale» aveva anticipato il New York Times tre settimane fa. Il neoconservatorismo sul tema aborto era già emerso durante l’amministrazione Trump, tanto che molte aziende del fashion, come Gucci, si erano già esposte anche pubblicamente per frenare questo ritorno fuori tempo massimo del bigottismo repubblicano.