la Repubblica, 4 maggio 2022
Alla British Petroleum staccarsi dalla Russia costa 24 milioni
Quanto costa oggi, per una multinazionale, staccarsi dall’apparato energetico della Russia di Vladimir Putin? British Petroleum, il colosso petrolifero britannico, ha una iniziale risposta. Nel primo trimestre 2022, Bp ha messo a bilancio la rinuncia alle sue quote nel gigante del petrolio di Mosca, Rosneft, come sanzioni e pressioni del governo di Boris Johnson hanno imposto (anche alla rivale Shell). Si tratta del 19,75% di azioni congelate, che non possono essere rivendute. E così, nei libri finanziari di BP, le perdite sono ora pari a 24,2 miliardi di euro. Le più pesanti della sua storia.
Ciononostante, BP ha più che raddoppiato i profitti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Tanto che il primo trimestre del 2022 è il migliore da oltre un decennio. Da 2,47 miliardi di inizio 2021, infatti, si è passati a 5,8 miliardi quest’anno.
Come è stato possibile? Ovviamente grazie ai prezzi di petrolio e gas, schizzati per la guerra in Ucraina. Si stima che a fine anno il prezzo del Brent sarà di almeno il 42% in più rispetto al 2021 (con punte di oltre 100 dollari al barile a inizio conflitto), mentre per quanto riguarda il gas si è già toccati quota +70%. E così ieri sono volate le azioni di Bp al Ftse100 di Londra: +3,5%. Per questo, nel Regno Unito ora si riparla di “Windfall tax”, tassa “una tantum” che verebbe imposta alle aziende che «hanno guadagnato troppo e ingiustamente» negli ultimi tempi. Il primo ministro Boris Johnson si oppone perché «limiterebbe gli investimenti». Ma per molte famiglie britanniche pagare le bollette (gonfiate anche oltre del 100%) è diventato impossibile. Dunque lo Stato dovrà intervenire, Windfall tax o meno.