Corriere della Sera, 4 maggio 2022
Una mostra dedicata alla biblioteca di Umberto Eco
Dunque la biblioteca antica di Umberto Eco, acquistata dallo Stato nel 2018, ha trovato la sua collocazione nella Braidense di Milano, mentre i quarantamila volumi moderni, con le carte e gli archivi, si trasferiranno nell’ala novecentesca della Biblioteca universitaria di Bologna. A Brera sarà esposto da domani al 2 luglio il fondo antico, che comprende circa 1.200 volumi, tra incunaboli, aldine, prime edizioni. L’apertura della mostra, intitolata L’idea della biblioteca, coinciderà con l’inaugurazione dello «Studiolo», dove verranno conservati i preziosi volumi che il bibliofilo Eco ha raccolto per una lunga vita in mezzo mondo. Si tratta della sezione scherzosamente chiamata dallo stesso Eco «Bibliotheca Semiologica, Curiosa, Lunatica, Magica et Pneumatica», che nell’appartamento milanese di piazza Castello occupava una stanza in penombra, deumidificata, climatizzata e fornita di un allarme autonomo (il semiologo temeva i furti ma ancora di più gli incendi). Quella collezione era per Eco «un organismo vivente dotato di vita autonoma», cresciuto negli anni prima in modo un po’ occasionale e poi sempre più secondo criteri sistematici e puntuali.
«Sono diventato un vero bibliofilo dopo i cinquant’anni», diceva Eco ripensando alla sua passione. «Un tempo correvo qua e là per scovare pezzi curiosi — raccontò a Andrea Kerbaker nel 2012 — oggi mi limito a poche scelte mirate». Gli interessi prevalenti che hanno ispirato la raccolta sono il sapere occulto e il sapere falso, temi che, come si sa, hanno occupato l’attenzione sia dello studioso sia dello scrittore: «Ho Tolomeo, che si sbagliava sul moto della Terra, ma non ho Galileo, che aveva ragione», dichiarò Eco in Non sperate di liberarvi dei libri, il dialogo con Jean-Claude Carrière.
In realtà, parlare di fondo antico sarebbe improprio, visto che nel corpus spiccano volumi ottocenteschi e novecenteschi di notevolissimo valore, come le due ristampe (1924 e 1926) dell’Ulysses di Joyce, edite dalla parigina Shakespeare & Company. 36 sono gli incunaboli, tra cui il De Civitate Dei di Sant’Agostino edito a Roma nel 1470, il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto (Venezia 1481) e l’Hypnerotomachia Poliphili, il romanzo allegorico impresso da Manuzio nel 1499 con 170 xilografie, che Eco, e non solo lui, considerava «il più bel libro mai stampato». Eco amava ricordare, tra i suoi gioielli, «un vecchio Paracelso di cui ogni pagina assomiglia a un merletto». E segnalava un altro incunabolo, il Malleus maleficarum, «grande e nefasto manuale per gli inquisitori e i cacciatori di streghe, rilegato da un “Mosè Cornuto”, altrimenti detto un ebreo che lavorava solo per biblioteche cistercensi e che firmava ogni rilegatura con l’immagine di un Mosè con le corna». Ci sono numerose cinquecentine: un De umbris idearum di Giordano Bruno (1582), varie prime edizioni di Tomaso Garzoni, e procedendo verso il secolo scorso, ci si imbatte in un Moebius sull’inferiorità mentale della donna, stampato a Torino nel 1904...
Tanti testi che «riemergono ciclicamente nei romanzi, nei saggi e nelle interviste», ha testimoniato lo studioso olandese Frans A. Janssen, che visitò più volte la biblioteca di Eco, sottolineando il rapporto intrinseco tra il collezionista, lo scrittore e lo studioso di misteri, occultismi, alchimie, segreti, pronostici, magie, tenebrosità orientali, satanismi... Tutto ciò che accendeva la sua fantasia e la sua infinita, leggendaria curiosità.