La Stampa, 4 maggio 2022
L’America antiabortista
Davanti alla Corte suprema c’è una ragazza afroamericana. Viene da New York, ha un megafono in mano e vi urla dentro con tutto il fiato che ha in gola per chiamare l’America alla riscossa. «Ispiratevi alla nostre sorelle in Messico e in Argentina». Loro sono scese in strada per rivendicare il diritto all’aborto. È quello che vorrebbe facesse tutto il Paese quando si rivolge a un pubblico di giovani e di attivisti con alle spalle decenni di lotta per i diritti civili.
All’indomani della più clamorosa fuga di notizie della storia della Corte Suprema statunitense, fuori dall’edificio che si affaccia dinanzi a Capitol Hill il popolo dei pro-choice surclassa quello dei pro life fra i quali ci sono due attempati signori – praticamente la metà dei pro vita nel piazzale – con una bandiera americana in mano e un rudimentale strumento a fiato che emette suoni incerti.
La polizia osserva più assonnata che preoccupata. Non c’è tensione, dominano rabbia e voglia di lottare per ripristinare un diritto che sta sfuggendo di mano. Fra slogan, «il mio corpo, la mia scelta» e cartelli «l’aborto è un diritto umano», il presidio è animatissimo. Passa anche la senatrice Amy Klobuchar che apre la stagione elettorale buttando il tema aborto nella mischia: «Fatevi sentire, ora le donne sono sulla scheda elettorale».
Qualcuno ha passato la notte dinanzi alle scalinate della Corte suprema, prontamente transennate, dopo che lunedì sera il sito Politico ha diffuso la notizia che i giudici avrebbero votato per la cancellazione del diritto all’aborto. Cinque (i conservatori Kavanaugh, Gorsuch, Barrett, Thomas e Alito) si sarebbero espressi per smantellare la Roe contro Wade, la sentenza del 1973 che ha reso l’interruzione di gravidanza legale in tutti gli Stati Uniti. I tre liberal (Kagan, Sotomayor e Breyer) sono contrari e un grande punto interrogativo aleggia sul presidente John Roberts, nominato da Bush junior e coscienza moderata dalla Corte Suprema. A far scattare il terremoto politico e sociale in un’America che sull’aborto fa da decenni guerre di religione, è la diffusione del parere scritto da Alito (98 pagine) in cui anticipa le motivazioni della scelta dei giudici. Il verdetto finale arriverà alla fine di giugno e sino ad allora tutto può cambiare, ma le argomentazioni del giudice Alito sono circostanziate e precise. Riflettono soprattutto il sentire di una Corta a stragrande maggioranza conservatrice (6-3).
Il parere è stato scritto in febbraio ed è autentico – ha riferito il giudice Roberts – ma non rappresenta la decisione finale. Intanto il giudice capo ha ordinato un’inchiesta sulla fuga di notizie definendola «un affronto alla Corte». È l’unica cosa su cui democratici e repubblicani in fondo concordano. Persino Trump ha definito «avvilente quanto accaduto».
L’argomentazione di Alito è che i diritti che non sono nella Costituzione devono passare dalla legittimazione popolare, è in sintesi il parere. Tocca quindi al popolo e agli Stati legiferare e decidere. È una interpretazione che fa dire agli esperti che anche i matrimoni gay sono a rischio. Tesi rilanciata dalla pasionaria progressista, la deputata Alexandria Ocasio Cortez.
Biden ha commentato la “quasi” sentenza prima di imbarcarsi per l’Alabama dove è andato a visitare la fabbrica dei Javelin che gli Usa stanno consegnando alla resistenza ucraina. La sua linea è che se sarà confermata, «un’intera seria di diritti viene messa a rischio». Il presidente – la cui popolarità è molto bassa sui temi di politica interna – ha chiamato gli elettori a reagire: «Tocca voi mobilitarsi». Ovvero eleggere candidati in novembre che garantiscono la libertà di scelta. «Credo che il diritto della donna a scegliere sia fondamentale, la Roe è stata una legge per quasi 50 anni, la correttezza e la stabilità della nostra legge richiedono che non sia ribaltata», ha spiegato in una nota la Casa Bianca.
Per i repubblicani l’uscita del presidente è scomposta. Il capo del Gop, Mitch McConnell lo ha accusato di minare l’indipendenza della Corte. Le conseguenze politiche sono già evidenti. Mentre gli attivisti manifestavano fuori dalla Corte suprema, a meno di duecento metri di distanza sulla scalinata del Campidoglio Charles Schumer, capo dei democratici al Senato, lanciava la sfida: «Voteremo per codificare il diritto all’aborto». Mossa simbolica poiché i democratici non hanno i 60 voti necessari per approvare una norma del genere e non possono superare l’ostruzionismo. Che i repubblicani alzeranno come una diga. In rappresentanza di quel 30% di american che secondo i sondaggi sono anti-aborto.
Sono una ventina gli Stati dell’Unione che hanno già legislazioni restrittive sull’aborto; altri – come lo Stato di New York e quelli a guida liberal – continueranno a considerare legale l’interruzione di gravidanza. Se la sentenza Roe contro Wade finirà al macero, a pagarne il prezzo saranno soprattutto le donne degli Stati conservatori del Midwest e del Sud. In alcuni già oggi trovare una clinica che pratica gli aborti è un’impresa. —