La Stampa, 4 maggio 2022
Le altre Mariupol
Ihor scende dal pullman blindato tenendo per mano sua figlia Karina. Sono stati prelevati da un pullman organizzato dalle forze di polizia della zona. È la prima volta, negli ultimi dieci giorni, che vediamo un mezzo blindato attraversare il ponte di Lyman per raggiungere la città.
A bordo i soldati ucraini, poliziotti e volontari. Avevano aspettato quasi un’ora prima di attraversare il ponte. Troppi i colpi, troppo alto il rischio che il mezzo potesse essere colpito da un missile.
Ihor e la sua famiglia vivevano a Stavky fino a un mese fa, prima che fosse accerchiata dall’avanzata russa. Hanno fatto in tempo a spostarsi col resto della famiglia a Drobyshevo, qualche decina di chilometri a ovest, dove hanno vissuto quattro settimane in pace. Avevano acqua, cibo, potevano scaldarsi. Poi la guerra li ha seguiti. Le ultime notti – che corrispondono all’intensificarsi dei colpi dell’artiglieria russa nelle zone intorno a Lyman – li hanno convinti a scappare. Ihor descrive la notte scorsa come la più dura dall’inizio della guerra. Teneva i suoi bambini tra le braccia cercando di tappare loro le orecchie. È andata avanti così dalle tre del mattino fino all’alba quando ha chiamato un vicino, uno dei pochi ad avere ancora una macchina e un po’ di carburante e gli ha chiesto di portarlo in salvo con la famiglia. L’uomo li ha caricati in macchina, hanno percorso 30 chilometri sotto il fuoco costante dall’artiglieria pesante, fino a raggiugere il punto di evacuazione nella parte meridionale di Lyman. Si sono congedati, l’uomo ha detto che sarebbe stata l’ultima volta che compiva quel viaggio, era arrivata anche per lui l’ora di andare via. Era l’ultimo rimasto a fare la staffetta per chi è intrappolato nella parte settentrionale di Lyman, ormai irraggiungibile dai mezzi di soccorso.
Gli scontri a Nord-Est di Kramatorsk continuano.
Ieri l’artiglieria ucraina ha distrutto almeno dieci veicoli russi in un piccolo villaggio tra Izyum e Lyman, ma i russi sono tornati a colpire pesantemente la cittadina, importante snodo ferroviario e cruciale per l’avanzata. Il ponte ferroviario è stato fatto saltare pochi giorni fa, mentre quello stradale – che è parallelo – è stato danneggiato. Distruggerlo, cioè farlo saltare in aria, significherebbe per gli ucraini rallentare l’avanzata russa ma di fatto eliminare la principale via di fuga per i civili ancora intrappolati.
Nonostante la resistenza delle forze ucraine, il cerchio si sta stringendo nel nord della regione. Per i russi quest’area ai confini di Donetsk e Luhansk è ormai uno degli obiettivi prioritari della seconda fase dell’offensiva, per farlo cercano di cingere la zona. A Est hanno le sacche delle repubbliche separatiste e stanno cercando di chiudere da nord, ovest, e sud.
I russi, al momento, controllerebbero completamente la vicina Yampil e hanno sfondato le posizioni ucraine nella periferia meridionale di Lyman dove, secondo le forze di polizia, sarebbero in corso combattimenti strada per strada. Un crescendo che si poteva prevedere osservando i cambiamenti lungo la via che da Kramatorsk conduce al reticolo di paesini che la circondano: il suono dei colpi d’artiglieria sempre più vicino, i danni alle infrastrutture, alle vie di comunicazione, la linea telefonica ormai saltata in molte aree, lasciando le persone intrappolate senza avere accesso alle informazioni sui corridoi umanitari. Per questo il sindaco aveva chiesto a tutti, la settimana scorsa, di non aspettare l’ultimo momento per lasciare l’area e andare via prima che fosse troppo tardi. Cioè prima che diventasse impossibile per i mezzi di soccorso raggiungere la città.
Fino a tre giorni fa erano ancora in tanti a restare, sperando che la città resistesse all’invasione, ma gli eventi degli ultimi giorni hanno reso chiaro che la speranza fosse mal riposta.
Domenica i colpi sono diventati incessanti, l’esercito russo ha bombardato le postazioni ucraine e le aree residenziali, lunedì mattina una colonna di fumo si alzava dai bosco di conifere al confine del paese. È stato distrutto il Palazzo della Cultura, e numerose abitazioni civili. Sono morte quattro persone e altre undici sono rimaste ferite.
Per questo in tanti, come Ihor, sono scappati via negli ultimi due giorni, convinti che orami la caduta della città sia inevitabile.
Chi poteva si è spostato con un mezzo proprio, auto cariche di bambini, i fogli appesi al finestrino con la scritta: civili. I passeggini, le carrozzine. Per gli altri i convogli umanitari.
Ihor dice che quando è scappato da Stavky ha capito che le forze ucraine stessero abbandonando le posizioni, e che ha cercato di non pensarci, poi quando è dovuto scappare anche da Drobyshevo, dove aveva trovato riparo, si è detto: se si stanno arrendendo loro significa che per noi rischia di essere già troppo tardi.
Questo pensiero, e un missile arrivato a 500 metri da casa sua hanno vinto le ultime esitazioni.
Sua figlia tiene tra le mani una scatola, ci sono i due conigli che ha portato via da casa. Dice che il suono delle bombe l’ha tenuta sveglia tutta la notte ma che suo padre, calmandola, le diceva di essere coraggiosa: «Io salvo te e tu salvi i tuoi conigli». E così ha fatto.
Ludmylla siede sul marciapiede, sfinita. Accanto a sé due buste di plastica chiuse con lo scotch. Dentro c’è tutto quello che è riuscita a portare via insieme a suo marito. Anche loro vivevano a Lyman, nella parte sud. L’esplosione di un grad, un lanciarazzi multiplo, sulla via di casa, le ha fatto chiudere l’ultima busta e correre via.
A nord i telefoni non funzionano più. Sua madre è ancora lì, l’ultima volta che le ha parlato, due giorni fa, l’ha pregata di andare via, ma l’anziana si è rifiutata. Ludmylla non ha fatto in tempo a portarla via, né a salutarla. Dice che come sua madre sono ancora in tanti, soprattutto anziani. I più recalcitranti ad abbandonare casa.
La situazione per le evacuazioni è ormai critica. Nel distretto ormai alcuni paesi sono irraggiungibili per le forze di polizia. Impossibile portare via i civili, portare dentro aiuti, recuperare i corpi delle vittime.
Secondo le autorità dei 40 paesi che compongono il distretto, solo dieci sono accessibili dai mezzi di soccorso.
Il pullman, dopo aver lasciato i civili, torna indietro. Durante la prima evacuazione, sul lato destro una scheggia ha colpito il finestrino. L’autista la osserva, alza le spalle, si volta verso destra al di là del ponte e osserva il fumo, poi stringe il giubbotto antiproiettile e torna alla guida.
Accanto a lui due soldati armati.
Dove c’erano le persone vengono caricati i sacchi di pane e le taniche d’acqua da lasciare al punto di raccolta, per quelli che riusciranno a raggiungerlo.