La Stampa, 4 maggio 2022
Lì dove i russi sono buoni
Eccola la parola: neocolonialismo. La Russia l’ha estratta dall’arsenale propagandistico degli Anni Sessanta, i bei tempi di Breznev e della Guerra Fredda: chi non ha vissuto prima del 1989, in fondo, non conosce la dolcezza della rivoluzione. I sovietici nel terzo mondo, soprattutto in Africa, erano allora protagonisti, si erano ritagliati la parte dei buoni: Algeria, Libia, Egitto, Guinea, Mali, le gloriose guerre di liberazione delle paleolitiche colonie portoghesi, la lotta contro l’Apartheid, il Capitale e il kalashnikov, più il kalashnikov a guardar bene. Ma senza quello, chi li tirava fuori gli africani dall’elenco dei dannati della terra? Mosca, mentre fa udire l’orribile latrato del cannone, scaglia astutamente per trovare alleati l’accusa contro l’Occidente: poveracci del mondo, guardatevi da americani e soci, sono sempre quelli che vi hanno sfruttato e continuano a farlo, per cui la democrazia è una divinità a cui rendono omaggio ma soltanto quando fa loro comodo, quando rende ai loro affari, che vi danno lezioni ipocrite, rileggete la Storia…
Non è detto che non faccia meno danno, la strumentale parolona, di missili e cannonate con cui vien triturata l’Ucraina. La platea che l’ascolta è grande, e intende un suono famigliare, il suono di una cosa che ahimè sanno piena e solida. A Sud del rio Grande e nella «brousse» africana, dal Medio Oriente alle risaie, l’Occidente è sommamente antipatico, evoca ricordi infami. Soprattutto gli Stati Uniti con le loro anguste menzogne di cui hanno nutrito regimi ributtanti al riparo del «mondo libero». E che monopolizzano i diritti umani mentre continuano a sfruttare le miniere e a fare le fusa a raiss corrotti. Vista da lì la rovente indignazione occidentale per la violenza inferta all’Ucraina appare davvero a geometria un po’ troppo variabile.
Mosca è per molti di questi Paesi, soprattutto africani, una terza via diplomatica tra l’Occidente sempre più detestato perché scandalosamente ricco e prevaricatore e la Cina di cui si comincia a giudicare insopportabile la rete economica in cui li avvolge. Il vecchio mondo sta crollando, si auspica da questa parte che è sempre terribile figlia della miseria. Infatti è da tempo che noi occidentali ce ne andiamo con i nostri pregiudizi, le nostre guerre per la sicurezza, le note del Ballo Excelsior del Mercato. E tanto peggio per l’Ucraina, giudicano africani, arabi e sudamericani, se sta facendo anche le tristi esperienze appunto di una guerra...coloniale. In fondo gli ucraini sono europei e occidentali, gente il cui amore per la libertà è eguagliato solo dal disprezzo per la libertà degli altri: che imparino cosa vuol dire essere sottoposti alla legge della forza. Dovevano imparare da noi quanto costa sopravvivere.
Capovolgiamo per una volta i punti di vista. Il Terzo Mondo visto da questa parte pare destinato a fornire ricchezze del sottosuolo e servizi. Fine. La Russia, che pure ha una affardellata storia colonialista, dal Caucaso alla Crimea alla Finlandia, non gli assomiglia nella arretratezza? Non è una Grande Proletaria con carri armati e missili? La propaganda putiniana la descrive come destinata dalla subdola congiura occidentale a restare confinata tra gli eterni poveri, priva di spazio vitale. Perché la globalizzazione nel Terzo mondo non ha come slogan la ottocentesca parola progresso ma la parola selezione, il termine del darwinismo sociale.
Disegniamo la mappa dei Paesi che non hanno aderito alle sanzioni. A parte i due leader storici del terzomondismo, India e Cina, in America latina si contano tre governi di sinistra come Cuba, Nicaragua e Bolivia. Ma molti altri, dal Messico all’Argentina, hanno offerto adesioni di facciata alle perentorie richieste americane di schierarsi per l’Ucraina. Sorprendente? Inspiegabile? Molti dei dirigenti di questi Paesi hanno biografie dolorose. Dal 1945 al 1989 Washington ha appoggiato nel cortile di casa latinoamericano regimi golpisti, fascisti e torturatori delle cui galere loro in prima persona possono dare lucida testimonianza, infiorandola di terribili apologhi e raccontini.
Ancora più numerosa, quasi totale, l’Africa che ha disobbedito alla condanna Onu dell’aggressione russa. Il continente che credevamo di conoscere così bene è diventato un indecifrabile «hic sunt leones». Contiamo: Sudafrica Angola Algeria Congo Burundi Guinea equatoriale Madagascar Mali Namibia Uganda i due Sudan per una volta riuniti, Senegal Centrafrica, Etiopia Tanzania Zimbabwe. Per il Sudafrica funzionano gli antichi legami tra i leader dell’Anc e l’Urss ai tempi della lotta contro l’Apartheid. Noi eravamo più tiepidi. L’Etiopia, un altro gigante del continente, usa l’appoggio di Mosca per stroncare la rivolta del Tigrai. Più sorprendente il no di una «dependance» francofona come il Senegal: che pure ospita le manovre anti-terrorismo delle truppe americane e a cui Washington aveva appena promesso un miliardo di dollari in aiuti.
Ma per molti Paesi africani l’Onu è una istituzione dove si è fatto troppo buon mercato della volontà. Chiedono invano da anni un seggio al Consiglio di Sicurezza per contare qualcosa. Una istituzione a cui gli occidentali hanno fatto autorizzare l’intervento militare in Libia senza consultarli e che ha provocato l’incendio jihadista ormai esteso dal Sahel al continente. Il non allineamento diventa di nuovo una opportuna tentazione.
La Russia, da qualche anno, aveva semplicemente ripreso i legami dell’epoca della Guerra Fredda convertendo le affinità ideologiche in affari e in offerta di sicurezza contro il monopolio occidentale. Dall’università «Lumumba» in cui hanno studiato ai bei tempi del socialismo reale migliaia di giovani africani, ai mastini della guerra della Wagner il passo non è così lungo. Anzi non appare fantascienza una accorta spartizione del continente tra Mosca e Pechino: alla prima l’appalto di armi e sicurezza, alla seconda le infrastrutture.
Sul piano economico l’Africa russa è ancora minuscola: venti miliardi di dollari contro i 200 della Cina. Ma i colossi minerari russi sono protagonisti in alcuni Paesi, Guinea per la bauxite, Zimbabwe per il platino, l’uranio della Namibia, l’oro in Centrafrica e nel Sahel. Con la Wagner arrivano insieme ai mercenari anche i geologi in cerca di concessioni.
Al bando in Occidente la informazione russa in Africa scala le classifiche, fa opinione. Due media finanziati dal Cremlino, RT e Sputnik, sono seguiti in molti Paesi africani. I russi combattono i jihadisti e seducono. Alexandre Ivanov, uomo della Wagner, dopo il golpe anti francese in Burkina Faso ha tessuto l’elogio dell’eroe terzomondista Thomas Sankara definendolo il Che Guevara africano. Evgeni Prigoijne, affarista putiniano esportato in Africa, ha parlato di una seconda decolonizzazione «contro un Occidente che cerca di imporre valori stranieri agli africani prendendoli in giro».