La Stampa, 4 maggio 2022
Salgono a 7 gli oligarchi morti "suicidi" o in circostanze misteriose. L’ultimo è volato giù da una scogliera
Avanti il prossimo. Sette morti strane in due mesi sono tante, tutte di alti manager russi o di Gazprom, o collegati alla rivendita del gas russo, o miliardari che avevano fatto fortuna col gas. Non si sfugge al proprio destino, nella Russia oscura e ominosa di queste ore.
L’ultima della serie – dopo quelle di Sergey Protosenya, Vladislav Avayev, Vasily Melnikov, Mikhail Watford, Alexander Tyulyakov e Leonid Shulman – è quella di Andrei Krukowski, neanche quarant’anni (classe 1984), top manager del resort sciistico di Gazprom non lontano da Sochi, Krasnaya Polyana, volato giù da una scogliera non si capisce assolutamente come. La comunicazione della Tass fa pensare a un romanzo di Gogol, per quant’è elusiva e enigmatica: «Il direttore generale del resort di Krasnaya Polyana, Andrei Alekseevich Krukovsky, è morto tragicamente. Amava le montagne e vi ha trovato la pace. La tragedia si è verificata lungo il percorso verso la fortezza di Achipsinskaya, a seguito della caduta ha ricevuto ferite mortali». Ma la pace è, ancora una volta nella Russia di Putin, la pace dei cimiteri. Morti sospette, suicidi-omicidi incredibili, o al limite defezioni, per i più fortunati che riescono a giocare d’anticipo, come Igor Volobuev, ex dirigente di Gazprombank, o Ruslan Dostovalov, già direttore esecutivo di Gazprombank.
Krukowski era troppo giovane per aver partecipato alla sistematica spoliazione delle risorse energetiche russe compiuta negli anni del putinismo rampante dagli oligarchi più vicini a Putin, e non era un oligarca, ma neanche un manager qualunque. A 37 anni dirigeva il resort sciistico di Gazprom, il più importante della Russia, a quaranta chilometri da Sochi, praticamente casa di Putin, quello dove Putin stesso va a sciare o porta a sciare amici come il dittatore bielorusso Alexandr Lukashenko. Naturalmente un’indagine è in corso, ma nessuno ci punta mezzo rublo, ovviamente.
Sochi e Krasnaya Polyana non sono posti qualunque, nella storia del putinismo. Nel 2014 Krasnaya ospitò le competizioni principali delle Olimpiadi invernali russe, e ci furono lavori imponenti – appaltati per lo più al braccio di costruzioni di Gazprom, guidato dall’amico di judo di Putin, Arkady Rotenberg, oggi plurisanzionato da Stati Uniti e Unione europea. Venne realizzata tra le altre cose una nuovissima ferrovia che in quaranta minuti portava i visitatori lì dal Parco Olimpico (prima, per andare da Sochi a Krasnaya ci volevano tre ore di strade in molti punti sterrate). Ci fu solo un piccolo problema, in tutta quella storia che veniva celebrata come l’apoteosi della capacità progettuale putiniana (assieme ai gasdotti, ovviamente): il rifacimento di Krasnaya Polyana costò, da solo, otto miliardi di dollari. Russian Esquire scrisse che con quei soldi la strada avrebbe potuto essere ricoperta da uno strato di caviale di un centimetro. Tutto il pacchetto Sochi costò 50 miliardi di dollari: la Cina, per i Giochi estivi del 2008, che avevano un numero di eventi tre volte maggiore, osservò il Financial Times, aveva speso sei miliardi in meno. Furono, Sochi e il capitolo Krasnaya Polyana, un gigantesco caso di auto-corruzione del regime di Putin? Di sicuro chiunque studi la cleptocrazia putiniana ha dovuto toccare il buco nero-Sochi.
Krukowski diventa direttore generale del resort sciistico nel 2015, a neanche trent’anni. Ma ci lavora da tre anni prima. È considerato uno dei manager più promettenti della Russia. Tenuto in palmo di mano dai Rotenberg. Una laurea in economia a Mosca, e poi la specializzazione alla London Business School, dove avrebbe mantenuto buoni contatti: non un ottimo biglietto da visita, nei giorni in cui sulle tv del Cremlino si spiega come i missili Sarmat potrebbero incenerire la Gran Bretagna in duecento secondi. Non si sa se questo è un caso, certo molti dei morti odoravano, agli occhi di Putin, di occidente, e chissà se nel celebre discorso del 16 marzo Putin stesso non abbia fornito una chiave: «Non sto giudicando chi ha ville a Miami o in Costa Azzurra, i russi che non possono vivere senza foie gras e ostriche o i cosiddetti diritti di genere, perché pensano che questo li collochi in una casta superiore. Il problema sono quelle persone che vivono qui in Russia ma mentalmente sono distanti, vivono in Occidente». La conclusione sembrò una cupa profezia («l’Occidente usa i nostri traditori per distruggere la Russia, ma il nostro popolo sarà sempre in grado di distinguere i patrioti dalla feccia e dai traditori, e sputarli fuori come una mosca che gli è volata accidentalmente in bocca») o forse era quello che già stava accadendo, e ancora non avevamo messo in fila i fatti.