il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2022
Intervista all’attore Antonio Gerardi
Antonio Gerardi, chi è il Nereo Ferraù di Bang Bang Baby, crime drama su Prime Video?
Un bambino intrappolato in un corpo di uomo, che ogni tanto esce prepotente: con un mitra in mano puoi fare disastri.
Arriva dall’Aspromonte nella Milano anni 80 con l’AK47 e le musicassette degli Wham…
Ha tante sfaccettature, è fan sfegatato di George Michael, chiude gli occhi e s’immagina sul palco: crede di assomigliargli.
Gli hanno ammazzato il fratello, ora deve dimostrare al clan di non essere lo scemo del villaggio.
Pretende di prendere posto nella Santa, l’organizzazione criminale calabrese, sebbene non abbia alcuna capacità: relazionarsi coi politici, corromperli, non fa per lui. Non è nemmeno in grado di allacciarsi le scarpe, il fratello stesso gli preferiva il cugino, che pure aveva letteralmente mezzo cervello.
Il Tommy DeVito (Joe Pesci) di Quei bravi ragazzi è stato un modello?
Amo quel film, ma pensavo ad altro. Nereo è uno di pancia, andavo sul set e ignoravo scientemente quale scena dovessi girare: non volevo arrivare preparato, bensì lasciare il personaggio nelle sue incertezze, donargli tensione e insicurezza. Cattivissimo: questo era su carta, ma alla spietatezza ho voluto accostare tenerezza e dolcezza.
A quelli che “dopo Romanzo criminale, Gomorra e Suburra, Bang Bang Baby è l’ennesima serie sulla criminalità”, cosa risponde?
Che è una roba assolutamente diversa. Io che sono un ignorantello non comprendevo il progetto, mi sembrava una follia psichedelica: Nereo era un pazzo mafioso o doveva far ridere?
Lei è un campione di criminalità: Il Sardo in Romanzo criminale, il boss Michele Malinconico ne La nuova squadra – Spaccanapoli, il pentito Gaspare Mutolo in Paolo Borsellino – I 57 giorni, Il Rosso de Il Sistema. Ha una naturale predisposizione, il phisique du rôle o che?
Premesso che ho abitato anche l’altro lato della barricata, con l’Antonio Di Pietro di 1992, 1993 e 1994 o il Bruno Contrada di Boris Giuliano, non me lo spiego. In Imma Tataranni ho fatto il prete, ecco, un sacerdote, un magistrato per me sono più difficili: con un’arma in mano, posso anche non parlare e mi si crede; con indosso la tonaca, be’, devo studiare.
Modelli?
Troppo alti per poterci anche solo pensare, ma dovessi dirne uno: Gian Maria Volonté.
È nato a Potenza l’8 marzo 1968. Esiste una questione meridionale nel nostro audiovisivo?
Esistono grandi personaggi, grandi capacità che non scopriamo. È complicato fare un provino a Roma per chi vive a Reggio Calabria e ha modeste risorse economiche. Ho incontrato ragazzi tanto bravi, tanto preparati da chiedermi: “Com’è possibile che non siano già famosi?”. Se stai giù, fai teatro, non hai un’agenzia, purtroppo succede, ma mi dia retta: ci sono attori misconosciuti per cui ho rischiato il complesso di inferiorità.
Vie d’uscita?
Produttori coraggiosi, che non vogliono andare sul sicuro e, complici risorse importanti, scommettono su volti nuovi. Così è stato per noi di Romanzo criminale, così per Gomorra.
Ha esordito da conduttore radiofonico, da poco ha fondato la web radio Good Fellas Music Station.
Durante il lockdown, stavo chiuso in casa con quattro figli, una moglie e un maremmano, ognuno di loro una buona dose di rottura di coglioni, sicché mi sono preso un mixer: una radio al posto dei cd, senza jingle né pubblicità.
Al cinema ha debuttato 15 anni fa, L’ora di punta di Vincenzo Marra…
Tra piccole, medie e grandi, ho superato le cento partecipazioni. Mia madre, mio padre e mio fratello non ci sono più, mi inorgoglisce immaginare che siano lì a guardami: “Cazzo, però sto pazzo ce l’ha fatta”.
Non l’avrebbero detto?
Sono figlio di contadini, quando partii per fare il disc-jockey, mamma mi prese da parte: “Sicuro che non ti droghi?”. E, anche dopo vent’anni di radio nazionali, ogni volta che tornavo mi rassicuravano: “Non preoccuparti, dai che prima o poi pure per te esce il posto fisso”.
Sta per girare L’ultima notte d’amore di Andrea Di Stefano, con Favino.
Andrea è il creatore di Bang Bang Baby, gode di tutta la mia stima. Pierfrancesco è tra i migliori attori d’Europa, mi ha chiamato una sera e mi ha buttato per aria: non ho più salutato nessuno per tre giorni, parlavo solo col maremmano.