Il Messaggero, 4 maggio 2022
Gli sciacalli di Rigopiano
Il furto, di per sé, è poca roba, perché cinque anni dopo da rubare tra quelle pietre intrise di sangue e lacrime, c’è soltanto il dolore della memoria. Conta il gesto, la voglia di portarsi a casa come macabri trofei un Monopoli e altri due giochi da tavolo dissotterrati dalle macerie dell’Hotel Rigopiano. Conta il pessimo gusto di scattarsi un selfie a perenne ricordo dell’impresa: insomma, tutto il repertorio da sciacalli dell’orrore che immancabilmente va in scena dopo le grandi sciagure. Ma c’è anche tanta sostanza nell’arresto di una giovane coppia, 22 anni lui, 23 lei, beccata subito dopo il raid nell’area della tragedia costata la vita a 29 persone e traumi pesanti agli 11 sopravvissuti. L’intera zona, infatti, è ancora sottoposta a sequestro per le esigenze di una giustizia che ancora fatica a prendere il passo giusto per evitare l’oltraggio della prescrizione, purtroppo già in vista almeno per i reati minori. Almeno in linea teorica, con una perizia tecnica ancora in corso, la contaminazione dei luoghi potrebbe anche incidere sull’individuazione delle cause della valanga piombata sull’albergo alle 16.41 del 18 gennaio 2017.
Un’area centrale nella sorte del processo con 30 imputati in corso davanti al gup di Pescara e per questo motivo da sempre interdetta persino ai parenti delle vittime, che a più riprese tornano a chiedere permessi di accesso, per portare almeno un fiore nel punto esatto dove i loro cari hanno trovato la morte nel pieno di una vacanza che sognavano come indimenticabile. Paradossale il caso di Alessio Feniello, il papà di Stefano, che per la violazione dei sigilli si beccò un decreto di condanna diventando di fatto il primo colpevole accertato nella strage del resort. E oggi commenta: «Il furto un’assoluta bassezza».
I FATTI
I due arrestati martedì, invece, non avevano amico o parenti da piangere. Volevano soltanto provare un brivido. Per quanto il dispositivo di controllo dell’area sotto sequestro sia piuttosto capillare, a notarli è stato il maresciallo comandante della stazione carabinieri forestali Parco di Farindola, che durante un pomeriggio di libertà era andato a camminare nella zona panoramica alle falde del Monte Siella, versante nord orientale del Gran Sasso d’Italia.
Alla vista dei due forestieri ha intuito quello che purtroppo frulla nella testa di molti. Li ha fermati immediatamente, chiamando in soccorso i colleghi della stazione di Castelli, il paese delle ceramiche che dista soltanto pochi chilometri, e della compagnia di Penne. Le indagini lampo, basate sull’esame dei filmati delle telecamere di sicurezza, hanno ricostruito tutte le fasi dell’impresa. Dalla violazione dell’area sotto sequestro, ben evidenziata con recinzioni e cartelli informativi, fino all’introduzione nei resti della sala biliardo, quella in cui i quattro bambini estratti vivi trovarono riparo dietro un muro miracolosamente risparmiato dalla bomba di neve. Qui hanno a lungo rovistato tra le poche cose rimaste, impossessandosi alla fine di tre giochi da tavolo. Scena finale, il selfie con il bottino. Disgustati i familiari delle vittime: «Quello è un luogo sacro rispetto per 29 angeli».
CACCIA AL SOUVENIR
L’arresto in flagranza è stato convalidato ieri dal Gip di Pescara, che ha subito rimesso in libertà la coppia alla quale sarà intestato l’ennesimo fascicolo satellite della tragedia di Rigopiano. Chissà se sono i primi, nonostante un dispositivo di controllo indubbiamente capillare. Di certo, ammettono gli investigatori con disincanto, non saranno gli ultimi ad essere attratti dallo spettacolo dell’orrore. La caccia al souvenir della tragedia risponde a un istinto talmente naturale da aver spinto, a novembre di tre anni, il curatore fallimentare della società proprietaria dell’hotel a mettere all’asta scorte di vino, pezzi di ceramiche di Castelli miracolosamente intatti e arredi del centro benessere. Pezzi di dolore altrui aggiudicati per un assegno da 1800 euro. Una goccia in un mare di debiti da due milioni e mezzo.