Roberto Faben per “La Verità”, 3 maggio 2022
BUM! ‘’L'ATTENTATO A WOJTYLA FU PENSATO IN VATICANO’’ - L'EX-AGENTE SEGRETO FRANCESCO PAZIENZA RIFILA LA SUA VERSIONE DEI FATTI DOPO DIECI ANNI DI CARCERE PER DEPISTAGGIO SULL'ECCIDIO DI BOLOGNA E TRE ANNI PER IL CRAC DEL BANCO AMBROSIANO - ‘’ROBERTO CALVI FU ELIMINATO ATTRAVERSO UNA FINTA IMPICCAGIONE PERCHÉ, SE COSÌ NON FOSSE STATO, SAREBBE USCITA L'IRA DI DIO. L'AMBROSIANO E CALVI ERANO IL BRACCIO OPERATIVO DELLO IOR’’ – PAUL MARCINKUS, FIGLIO DELL'AUTISTA DI AL CAPONE, ARCIVESCOVO, CAPO DELLO IOR E GUARDIA DEL CORPO DI WOJTYLA, SERBAVA SOTTO LA TONACA UNA MITRAGLIETTA UZI -
Nel tempo oscuro tra il 1980 e il 1982, quando le cronache italiane riferirono di accadimenti ancor oggi avvolti da compatti banchi di nebbia, principalmente la strage alla stazione di Bologna (1980), la scoperta delle liste P2 (1981), l'attentato a Karol Woytjla (1981) e l'assassinio di Roberto Calvi (1982), detto il «banchiere di Dio», l'ex-agente segreto e faccendiere Francesco Pazienza ebbe un ruolo in un mastodontico intrigo, che le aule giudiziarie hanno tradotto in condanne a suo carico.
Dieci anni di carcere per depistaggio sull'eccidio di Bologna e tre anni per il crac del Banco Ambrosiano, interamente scontati, di cui quasi nove mesi al 41 bis e una parentesi finale in libertà vigilata come volontario del 118 e soccorritore dei terremotati a L'Aquila. «Potrei quasi fare una guida delle prigioni italiane dove sono stato: La Spezia, Roma, Alessandria, Livorno, Milano, Palermo», afferma.
Egli, tuttavia, si è sempre dichiarato innocente e ora ha messo su carta la sua ricostruzione dei fatti in un libro fitto di date, nomi e riferimenti documentali, appena pubblicato da Chiarelettere, La versione di Pazienza, che è anche uno spaccato del Paese dell'epoca, uffici di 007 all'italiana con il whisky nel cassetto, intrallazzi sibillini nei salotti dell'alta finanza, mitragliette, come la Uzi di fabbricazione israeliana che Paul Marcinkus, figlio dell'autista preferito di Al Capone a Cicero (New York), arcivescovo, capo dello Ior e guardia del corpo di Wojtyla, serbava sotto la tonaca.
I guai di Frank, così Pazienza si è sempre fatto chiamare, iniziarono quando lasciò il Sismi di Giuseppe Santovito, presso cui operò dall'aprile 1980 a febbraio 1981, e instaurò rapporti con lo stesso Marcinkus e Roberto Calvi, entrando in un rififi impastato di miliardi di lire e transazioni occulte, giornali in difficoltà e scandali politici.
Perché, a suo avviso, Roberto Calvi fu eliminato attraverso una finta impiccagione? «Fu eliminato perché, se così non fosse stato, sarebbe uscita l'ira di Dio. Quando scomparve, al Banco Ambrosiano fu immediatamente sostituito. Calvi andava eliminato. Punto. Poi fu costruito il discorso della liquidazione coatta amministrativa. Il Banco Ambrosiano fu liquidato il venerdì, e il lunedì successivo nacque il Nuovo Banco Ambrosiano».
Si è fatto un'idea di chi siano stati i mandanti del suo assassinio? «Guardi, quando parlo è perché ho le prove. Una cosa è certa. Gli interessati alla sua eliminazione erano diverse entità».
Ad esempio? «Non lo dico, altrimenti mi querelerebbero. Lei ha mai visto una banca in condizioni dichiarate disastrose, dove i depositanti non hanno perso un centesimo?».
Come conobbe Calvi? «Lo conobbi a Washington nell'autunno 1978, alla riunione del Fondo monetario internazionale. Mi fu presentato da Domenick Scaglione, vice-presidente senior della Chase Manhattan Bank».
Nel suo libro sostiene che Santovito la mandò, su probabile richiesta di Andreotti, dal segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli, per capire come supportare la fazione opposta a Marcinkus. Perché decise, in seguito, di disobbedire al Sismi e di schierarsi contro i falchi avversi a Woytjla? «Perché in quel momento ero animato da un grande fervore anti comunista e avevo compreso che Giovanni Paolo II si stava preoccupando di muoversi contro il comunismo partendo dalla Polonia. Neutralizzare Marcinkus avrebbe significato neutralizzare il braccio secolare operativo di Wojtyla».
A distanza di un mese dall'avvio della sua collaborazione con Calvi, Mehmet Alì Agca, il 13 maggio 1981, sparò a Woytjla e Marcinkus le comunicò la notizia al telefono. A suo avviso, chi volle l'attentato? «Fino a 10-15 anni fa pensavo che fosse un'operazione del Kgb o servizio collegato. Ora non lo credo più. Se il Kgb voleva fare quell'operazione, poteva metterla in atto nei diversi viaggi in giro per il mondo di Wojtyla e non un mercoledì in piazza San Pietro a Roma con 50.000 persone. In un Paese africano un tiratore scelto del Kgb o del Gru (servizio segreto militare russo, ndr) lo avrebbe fatto fuori senza problemi da 1.500 metri di distanza. A mio parere il complotto nacque all'interno del Vaticano».
Woytjla, per il quale lei inviò in Polonia 4 milioni di dollari dello Ior a beneficio di Solidarnosc, era al corrente della spregiudicatezza di Marcinkus nella gestione della banca vaticana? «Forse non al cento per cento. Tuttavia pure lui sapeva che pecunia non olet. Giovanni Paolo non era un cretino e non poteva pensare che lo Ior funzionasse solo con le offerte alla messa della domenica».
Perché una parte del Vaticano non vedeva di buon occhio l'anticomunismo del papa polacco? «Perché l'anticomunismo di Wojtyla era muscolare, svincolato da tutte le camarille vaticane, cui quasi tutti i prelati appartenevano, ad eccezione del cardinale Achille Silvestrini, straordinario, con cui feci l'operazione preparatoria dell'incontro Wojtyla-Arafat. Il lavoro di Casaroli, invece, era basato su un paziente lavoro di diplomazia durato anni».
Nel libro afferma che Calvi prestò denaro allo Ior, tanto che considerava la Vianini, società di costruzioni del Vaticano, una garanzia. Ma anche che lo Ior fece prestiti per 120 milioni di dollari al Banco Ambrosiano di Calvi. Chi dei due era più indebitato con l'altro? «Calvi andava sul mercato internazionale potendo mostrare una forza che, obiettivamente, il Banco Ambrosiano non aveva, perché tutti sapevano che l'Ambrosiano e Calvi erano il braccio operativo dello Ior».
Qual era la cosa che più temeva Marcinkus dall'essere entrato in affari con Calvi? «Non l'ho mai capito. Ma per mettere una pietra sopra ci fu un'operazione da 300 milioni di dollari che lo Ior versò al Nuovo Banco Ambrosiano per ripianare la situazione debitoria dell'istituto vaticano».
Ha scritto che «in confronto al dissesto del Monte dei Paschi di Siena (), quello dell'Ambrosiano era uno scherzo» e che «il crac dell'Ambrosiano non è stato un crac () come le sentenze della magistratura hanno voluto far credere». Sulla base di quali elementi sostiene questa ipotesi? «I correntisti italiani e quelli delle filiali estere dell'Ambrosiano non hanno perso nulla. A perdere il denaro sono stati i clienti italiani che investirono in azioni, mentre quelli esteri, soprattutto delle filiali delle Bahamas, riuscirono a recuperare gran parte dei denari investiti in titoli. Ho fatto calcoli precisi sulla situazione del Monte dei Paschi di Siena. Non è uscito dal tunnel. Eppure il Mps non è stato messo in liquidazione coatta amministrativa».
Perché gli investitori italiani non furono risarciti? «Qualcosa non funzionò. Molti soldi se li umbertò la banda Gelli-Ortolani. Dal famoso "conto Recioto" scomparvero milioni di dollari. Calvi non aveva le relazioni politiche nazionali per gestire il lavoro che faceva e si affidava a Gelli e Ortolani. Quando scoppiò il bubbone P2 e Gelli fuggì, Calvi fu lasciato solo.
Aveva solo Craxi. E poi, attenzione. Da intercettazioni telefoniche del dicembre 1981 tra Bruno Tassan Din (ex-direttore generale del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, ndr.) e Gelli, cominciarono a parlare di me, dicendo: "Ma chi cazzo è questo? È stato mandato dalla Cia?". Non sapevano nemmeno chi cazzo fossi.
Nel dicembre 1981 era in corso il depistaggio sulla strage di Bologna. Nella motivazione della sentenza che mi ha condannato a 10 anni di galera è scritto che io avrei depistato per fare un favore a Gelli. Ma io Gelli non l'ho mai cagato in vita e l'ho conosciuto solo nel 2009, presentatomi da Gianmario Ferramonti».
Calvi, nei suoi ultimi giorni di vita, era disperato e aveva bisogno di denaro. A chi lo doveva restituire? «Quando l'hanno trovato morto, ero ad Acapulco e venivo dal Costarica, dov' ero andato ad aiutare il presidente Luis Alberto Monge nella campagna elettorale. Il denaro che Calvi doveva restituire era una tranche dei prestiti internazionali fatti con l'Ambrosiano. A livello internazionale, il debitore era l'Ambrosiano, non lo Ior. Calvi chiese disperatamente aiuto a Marcinkus. Ma Marcinkus era venuto a sapere che Calvi faceva la cresta sui prestiti esteri e gli rispose: "Adesso sono cazzi tuoi"».
Lei sostiene che il passaporto falso fornito da Flavio Carboni a Calvi, attraverso il boss della Magliana Ernesto Diotallevi, per andare a Londra nei suoi ultimi giorni di vita, costò 530.000 dollari. «Troppo, per un passaporto falso» dice. E il resto? «Il resto se lo sono imbertato, come si dice a Roma. Se Calvi avesse chiesto a me un passaporto, glielo avrei fatto avere autentico, panamense o costaricano. Il problema era che Carboni risultava intimidito da Calvi, come emerge dai nastri delle telefonate tra i due, depositati dal notaio Lollio di Roma, nelle quali Carboni sembra Fantozzi. Carboni gli dava del lei, Calvi del tu. Io, invece, a volte lo mandavo a fare in culo, ma non sopportava che un ragazzotto lo trattasse a quel modo».
Perché l'avvocato Jarashow disse che lei «fu l'unico coglione arrestato per il crac dell'Ambrosiano»? «Perché è vero. A un certo punto è stato deciso che l'unico coglione da incastrare ero io, compreso Craxi. Luca Palamara oggi loda il padre Rocco per aver ottenuto la mia estradizione dagli Stati Uniti. Peccato che documenti in mio possesso attestino che Rocco Palamara si fece aiutare da Sismi e Cia».