ItaliaOggi, 3 maggio 2022
Norma fu il tonfo di Bellini
Dopo un’imprecazione e un pianto, con il pensiero rivolto alla sua Catania lontana, quel pomeriggio del 23 settembre 1834, a Puteaux, in Francia, Vincenzo Bellini rendeva l’anima al suo Dio a soli 33 anni. Era infatti nato nella città etnea il 3 novembre 1801 nel palazzo Gravina Cruyllas, in un appartamento preso in affitto dai suoi genitori, Rosario Bellini, compositore di modestissime qualità, e Agata Ferlito.
A lui, Luigi La Rosa, messinese, dedica il suo ultimo lavoro «Nel furor delle tempeste, breve vita di Vincenzo Bellini» editore Piemme euro 18,90: l’autore non è un biografo, o meglio, non è soltanto un biografo come potrebbe ritenere colui che ha letto «L’uomo senza inverno. Storia di un genio dimenticato dell’Impressionismo» dedicato alla figura di Gustave Caillebotte, personaggio appassionante cui La Rosa ha donato un’anima viva e attraente. La Rosa è uno scrittore a tutto tondo che s’è occupato di temi letterari attuali e che in queste biografie ha trovato un terreno adatto per esprimersi in modo spiccato.
«… il siciliano, l’enfant prodige bello e chiacchierato, che da più d’una stagione infiammava il cuore del demi-monde milanese: era lui che il sussurro evocava, correndo di bocca in bocca, superando i pesanti broccati degli spalti, gocciolando giù come veleno da un pubblico che l’oscurità cancellava, rapprendendosi in una vorticosa onda fatale … non poteva essere sua (di Bellini ndr) la responsabilità di tale fallimento. Forse, la colpa risiedeva tutta in Norma, quello strano titolo, e nell’originalità sfrontata dell’opera, nella testardaggine con cui l’autore l’aveva difesa, ignorando i pareri di critici e giornalisti, i dubbi dell’amico Francesco Florimo e le obiezioni del suo librettista …»
Come vedete, una prosa affascinante, coinvolgente, emozionata ed emozionante che segna un volume colmo di interesse e di interessi, per chi ama la lirica e per chi ama la letteratura. Una prosa baroccheggiante (ed è un complimento, vista la magnificenza scenica, sensuale e immaginifica del grande Barocco, soprattutto quello di Bernini) che ricorda Marcel Proust. Lo so che gli autori odiano i paragoni, ma in questo caso sono lusinghieri e insoliti.
Un matrimonio non nuovo, quello tra lirica e letteratura, mai riuscito come questo, merito sì della grandezza di Vincenzo Bellini, ma oggi soprattutto di colui che l’ha estratto dal sacello in cui riposa per rendercelo vivo e palpitante, vivo tra di noi, non personaggio ma protagonista.
«Solo dopo avere raccomandato al vetturino di non perdere di vista la carrozza che li precedeva, il conte De Brouillard adagiò il capo sul sedile, trattenendo il cilindro nelle mani. Fuori, la tempesta non aveva smesso d’infuriare. Pensava a come avrebbe ricordato domani quel 26 dicembre 1831: la meraviglia del bel canto e poi la delusione del tonfo, l’affanno nel rincorrere il musicista, la fatica di strapparsi al rigurgito dei sobillatori, la corsa nella neve, la difficoltà di non farsi scoprire. Era certo che Bellini l’avrebbe scacciato malamente … La carrozza del compositore aveva mitigato la sua andatura, fino a fermarsi del tutto davanti a un grande portone. Il conte ne inseguì la figura impetuosa con un’ultima occhiata colma di preoccupazione. Poi, vedutala sparire al di là del portone, ordinò al vetturino di ripartire …».
Se cercate il pathos, ecco che ve ne ho fornito un saggio breve che, tuttavia, riesce a rendere il senso di quella sera del 26 dicembre 1831, santo Stefano, in cui la Scala metteva in scena la nuova opera del maestro catanese dallo strano titolo di «Norma» e il pubblico reagiva, bocciandola inequivocabilmente. Il tempo e le repliche, invero, resero giustizia all’autore e alla sua opera consacrandola come capolavoro, tal quale fu cantato dalla divina Maria Callas.
«Bellini era dimagrito ancora, benché dall’ultima volta fosse passato poco più di un mese. Nel chiarore del mattino gli era sembrato un’allucinazione. Forse per questo si era allontanato. Ma l’angoscia non l’abbandonava, tanto sapeva che non li avrebbe ascoltati, come non l’aveva fatto il giorno dell’inopportuno sopralluogo. De Brouillard era uno spirito libero, non ubbidiva che a se stesso … Il resto fu davvero la vita a deciderlo, quella che prese a stillare dalle arterie del malato, che si staccò da lui in effluvi e umori, che gli svuotò i visceri di ogni linfa, che prosciugò ogni cellula trasformando quel corpo fino ad allora favoloso in un rattrappito campo di battaglia …»
Era la fine di un musicista che aveva creato un altro sé stesso a Parigi, nell’amicizia con Fryderyk Chopin e nella frequentazione di Gioacchino Rossini che lo elesse a proprio pupillo. Si affermò anche nella capitale delle capitali e fu pronto a comporre per l’Opéra di Parigi quando, giovane, giovanissimo ancora sulla soglia della maturità umana e artistica a dispetto della già imponente -per qualità- produzione artistica venne carpito da una inesorabile infezione intestinale.
Luigi La Rosa rende prezioso omaggio a Bellini e -diciamolo pure- anche a se stesso per la profondità della scrittura e della mise en scene di Bellini e di coloro che gli furono, amandolo, vicini.