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 2022  maggio 03 Martedì calendario

Su "L’assistente" di Robert Walser

Robert Walser è un classico della letteratura svizzera di lingua tedesca del Novecento, sebbene la sua canonizzazione sia stata tardiva e non goda nemmeno oggi di larghissima notorietà.
Nato nel 1878 a Bienne, nella zona di Berna, spesso ricorre nell’immaginario per la sua morte poetica, nel Natale del 1956, nei pressi della clinica per malattie nervose di Herisau, nella Svizzera orientale. Alle soglie degli ottant’anni passeggiò per tutto il giorno in un giardino fintanto che si accasciò riverso sulla neve. Elias Canetti, nel definirlo “il più celato di tutti gli scrittori”, fa eco allo stesso Walser: “Io sono ancora sempre davanti alla porta della vita, busso e busso, e tendo solo curiosamente l’orecchio per sentire se qualcuno voglia aprirmi. Non sono altro se non uno che ascolta e attende”. Ha raccontato camerieri silenziosi, passanti furtivi, allievi di scuole nelle quali si insegna a essere comprimari senza ruolo, comparse senza battute, figure senza volto. “Amava essere un ciottolo” ha scritto Citati, “abbandonato sulle rive dell’esistenza”.
In effetti quanti leggono i suoi capolavori, La passeggiataJakob von Gunten e I fratelli Tanner, hanno contezza di imbattersi in pagine che paiono scritte con parole cadute direttamente dalla mano, “come una manciata di cenere o un fiato di vento”. Un autore che, come ha illustrato Winfried Sebald, “non giunse mai a stabilirsi da nessuna parte, mai poté disporre di qualcosa di suo. Non abitò mai una casa né mai abitò a lungo nello stesso luogo, di arredi suoi non ne aveva e, quanto al guardaroba, era fornito al massimo di un abito buono e di quello per tutti i giorni”. Una “talpa solitaria” di cui si ignorano le attività quando, tra il 1905 e il 1913, soggiornò a Berlino. A Waldau fu visto intento “in una partita di biliardo contro se stesso”. A Herisau, paziente in un manicomio, spesso lo si poteva scorgere in piedi in un angolo a fissare un punto lontano. Spiega ancora Sebald: “Talmente lontane l’una dall’altra sono le scene della vita di Walser giunte fino a noi che non si può propriamente parlare di una biografia, quanto piuttosto di una leggenda”.
Adelphi riporta in libreria da giovedì un romanzo del 1908, L’assistente. Il giovane protagonista, Joseph Marti, un giorno si presenta all’ingegnere Karl Tobler, le cui invenzioni – un orologio pubblicitario, una cartucciera automatica e un nuovo modello di seggiolone per degenti – si rivelano col tempo fallimenti. L’assistente è dunque testimone della progressiva rovina economica della famiglia. La storia è ambientata in una località lacustre: “Bärensweil è un paese bellino e pensieroso. Le sue viuzze e le sue strade sembrano viottoli d’un parco”.
Joseph, 24 anni, disoccupato equipaggiato di un solo ombrello e della sua fedele valigetta, che “veniva dalle profondità della società umana, dagli angoli bui, silenziosi, meschini della grande città”, viene assunto da Tobler, tramite un’agenzia di collocamento, in qualità di suo aiutante tecnico. Oltre allo stipendio (che non percepirà mai), gli viene offerto vitto e alloggio. Joseph, la cui esistenza “non era che un giacca provvisoria, un vestito che non calza bene” si limita a scrivere lettere all’ufficio brevetti, a sollecitare potenziali finanziatori, a compilare inserzioni sui giornali. Assume presto il ruolo di vero e proprio factotum: sbriga commissioni, innaffia il giardino, aiuta a stendere la biancheria.
Karl Tobler è un inventore stimabile ma è dotato di scarso senso degli affari. Tutto il suo patrimonio viene dilapidato per idee che non riescono a trovare sufficienti sponsorizzazioni. Tuttavia non vuole darsi per vinto, finge di non guardare il baratro che si allarga ai suoi piedi. Comincia a respingere cambiali, a dilazionare pagamenti. Fintanto che non viene sospesa la corrente elettrica e deve ricorrere a lampade a petrolio. Tobler cerca un sostegno finanziario, che gli viene negato, dall’anziana madre. A quel punto per Joseph, che accetta la sua sorte senza mai interferire per modificarla, “il lavoro consisteva ormai nel difendersi dai creditori”. Quando la rovina è conclamata, il rapporto di lavoro si incrina. Joseph ritorna a battere le strade del mondo in cerca di fortuna.
Joseph Marti è in fondo un fratello separato di Jacob von Gunten che ha imparato a essere “un magnifico zero, rotondo come una palla”. Claudio Magris, in una postfazione di una precedente edizione Einaudi, ha scritto che “l’eroe di Walser è magnanimo per la grandiosa risolutezza con la quale accetta la propria abiezione, la propria avvilente mancanza di carattere e di personalità. Joseph, Tanner o il Passeggiatore stanno a guardare, e in tal modo impediscono che si strappi definitivamente quel tenuissimo velo che separa la felicità dallo squallore”.