La Stampa, 3 maggio 2022
Mariupol, la resurrezione dei sepolti vivi nell’acciaieria
Oggi la parola “evacuazione” non restituisce il senso degli accadimenti. Questa è una resurrezione, la resurrezione dei sepolti vivi, la rinascita delle donne, dei bambini, degli anziani che per due mesi sono come morti nel sepolcro della Azovstal, isolati dal mondo con solo il fragore delle bombe a ricordare che qualcuno, là fuori, c’era ancora.
Cento persone sono uscite in fila indiana nell’aria fresca, i volti accesi dalla luce del sole, alcuni hanno sguardi smarriti, scrutano prima a destra, poi a sinistra, tutti continueranno a vedere l’orrore per sempre. Tra un colpo di mortaio e l’altro, sotto i bombardamenti continui, sono cominciate a singhiozzo, dopo settimane di trattative, le operazioni di evacuazione dei civili intrappolati nelle acciaierie dall’inizio della guerra gestite da Croce Rossa e Nazioni Unite. Ieri i primi cento sono arrivati in un campo profughi a 20 chilometri da Mariupol, da qui potranno decidere se andare verso l’Ucraina o verso la Russia. La maggior parte di loro sono dipendenti della Azovstal e le loro famiglie che vivevano nell’area dell’acciaieria. Quando è scoppiata la guerra, e su Mariupol ha iniziato a piovere di tutto, non hanno potuto fare altro che scendere nei bunker delle loro case all’interno dello stabilimento. E lì sono rimasti. I civili intrappolati nel bunker dell’acciaieria, assieme al battaglione Azov e ai soldati, sono gli unici ad avere avuto un contatto con l’esterno. Gli altri, nei loro minuscoli bunker domestici, sono stati tagliati fuori da tutto per due mesi. Solo ieri hanno scoperto che il mondo non era finito.
«Abbiamo fatto un film su un gatto – racconta Anastasyia, 11 anni, uno dei moltissimi bambini resuscitati ieri -, il titolo era “Il macellaio del seminterrato”, ma poi il gatto è sparito e non abbiamo potuto finire il film». Yuri, operaio dell’acciaieria, con la sua famiglia, ha vissuto per sessanta giorni in un minuscolo bunker in cemento armato. Freddo, buio. Nessuno osava uscire neanche per accendere il fuoco per scaldare l’acqua, anche il cibo veniva cucinato lì dentro, «i soldati ucraini ci hanno dato della carbonella per fare il fuoco, noi non uscivano quasi mai, i bombardamenti erano incessanti». Il bunker tremava, i boati dei colpi, sebbene attutiti «erano orribili», non si fermavano mai. Sessanta giorni di buio, freddo, paura. Ma poi, una settimana fa, è diventato impossibile stare in quella gabbia di cemento: «A un certo punto una bomba ha creato un piccolo buco, una fessura da cui entrava un raggio di luce – racconta Nina Alexseevna, 68 anni -. La luce non la vedevamo da troppo tempo, improvvisamente ci siamo ricordati cosa fosse, la luce. Rimanere in quel buco freddo era diventato una tortura, non avremmo potuto resistere ancora a lungo». Oltre all’angoscia delle bombe, il non saper dove andare, o «se» andare, l’incubo dei resuscitati è stato l’isolamento dal mondo: «Non sapevamo cosa era successo agli altri, cosa succedeva là fuori». Le comunicazioni saltate, il martellamento dei colpi, rare notizie dall’esterno. Ogni famiglia, ogni coppia, un mondo a parte: «Ogni tanto vedevamo qualche soldato ucraino, venivano a intervistarci, ci facevano dei video, poi andavano via – racconta Elena -. Una volta sono venuti per chiederci il permesso di fare dei buchi nel muro della nostra casa, servivano come punti d’osservazione e ai cecchini. Abbiamo rifiutato». E? «E niente, se ne sono andati».
Durante i primi giorni dell’offensiva i civili rimasti venivano invitati dai soldati ucraini a raggiungere il bunker dell’acciaieria. Dicevano che era più sicuro, che c’era acqua ed elettricità. «Una famiglia ha tentato più volte di scappare, ma è stata fermata, l’area era tutta minata.
Oggi i cento della Azovstal decideranno se andare verso a Zaporizhzhia, in Ucraina, o verso Donetsk e Rostov, in territorio russo. Sarà una scelta pratica, più che ideologica: molti non sono riusciti a scappare perché senza mezzi, andranno ovunque ci sarà un parente, un amico ad aspettarli.
Intanto a Mariupol si scavano le aiuole e i giardinetti, dove erano stati seppelliti in fretta i corpi delle vittime, per dissotterare i corpi e trasportarli al cimitero. Forse si prepara la grande festa del 9 maggio. Le strade vengono ripulite, le macerie sgomberate mentre il sole tramonta sulla devastazione di Mariupol e sulle centinaia di civili e soldati ancora seppelliti nelle catacombe dell’Azovstal.