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 2022  maggio 02 Lunedì calendario

ALTRO CHE SIGNORINA SILVANI IL PROVINO LO AVEVO FATTO PER INTERPRETARE PINA, LA MOGLIE DI FANTOZZI - ANNA MAZZAMAURO: “VILLAGGIO MI CHIAMÒ “CESSO” IN TV. IO GLI RISPOSI: PERO’ CON QUEL CESSO CI HAI GUADAGNATO MOLTO. FUORI DAL SET NON CI SIAMO MAI FREQUENTATI. QUANDO GLI CHIESI IL MOTIVO, MI DISSE: “IO FREQUENTO SOLO LE PERSONE RICCHE E FAMOSE”  - POI RACCONTA DELL’UOMO CHE L’HA INGANNATA E DERUBATA – “NON MI È MAI PASSATO PER LA TESTA DI RITOCCARMI IL NASO O DI TIRARMI LA FACCIA: HO UNA CHIRURGIA ESTETICA MOLTO PIÙ POTENTE, IL…” - VIDEO -

Anna Mazzamauro vive a Roma. Ci sentiamo per telefono. Tarda mattinata.

Anna, buongiorno. «Buongiorno a lei, per me il risveglio è sempre tragico. Faccio tutto di notte, tranne l’amore perché sto sola».

È sola da tanto? «L’uomo che amavo mi è stato vicino venticinque anni, poi non ce l’ha fatta più: è morto».

È così difficile stare vicino a Anna Mazzamauro? «Non le dico. Io se non salgo su un palcoscenico sono niente, non so dove andare, non so che fare. Ho 83 anni e ho già detto a mia figlia che per la mia bara dovranno usare le tavole di legno del palcoscenico».

Infatti lei sta ancora lavorando, in tour con uno spettacolo ispirato alla «sua» Signorina Silvani, la donna amata da Fantozzi e forse uno dei personaggi più trasversalmente popolari della cultura italiana. «Ma lo sa che il provino io lo avevo fatto per interpretare la Pina?»

Ma no. «Conoscevo Luciano Salce, il regista. Cercavano una donna molto brutta e lui si ricordò di me. Il problema era che io non sapevo che stessero cercando una cessa, anzi, una “bella atipica”, come dico io, e così mi presentai tutta in tiro, con una cofana di capelli ricci, i tacchi e un vestito rosso attillato. Salce mi guardò perplesso e disse “Anna, ti ricordavo più brutta”. Stavo per perdere la parte quando Paolo (Villaggio, ndr) si avvicinò e bisbigliò al regista: “No, c’è bisogno di una donna che faccia innamorare Fantozzi. Questa è piena di difetti ma li porta sui tacchi”. E così la mia vita cambiò per sempre».

Nacque la «signorina Silvani», senza nome di battesimo. Non bella ma furba, sola e disperata, che dice sì a ogni uomo che incontra. Perché? «Ha detto bene, “sola e disperata”. Volevo creare un prototipo di donna che dietro alle continue storie di sesso che cercava, nascondeva una grande miseria. Quando viene eletta Miss Quarto Piano della Megaditta è perché, in realtà, si è concessa a tutti gli uomini del primo, secondo e terzo piano. Ma questo non basta a colmare quella solitudine. Anche quando la fanno sposare con Calboni, per me resta sempre la povera signorina Silvani, che deve fingere di essere incinta con Fantozzi, insomma. Un personaggio tragico che però ha fatto ridere generazioni intere».

E poi c’era l’ufficio: nascevano la figura dell’impiegato, i flirt aziendali, le amicizie da scrivania. «Copiavo tutto da mia madre, che era una impiegata al Ministero delle Finanze. La camicetta di seta sotto il maglione, le scarpe col tacco infilate nella borsa e quelle comode per andare in tram. Un tipo di donna che si trasforma all’occorrenza, che sa fare bene le metamorfosi. E così la signorina Silvani era santa e demonia a seconda delle situazioni. I cuoricini, le collanine da pochi soldi, lo sputo nel fard: quelle erano invenzioni mie perché quella donna doveva essere terribile, l’unica che Fantozzi, nella sua miseria morale e materiale, potesse desiderare».

Lei ha lavorato vent’anni con Villaggio. Siete diventati amici? «Mai. Quando gli chiesi perché non ci frequentavamo fuori dal set, mi rispose: “Io frequento solo le persone ricche e famose”. Non sapevo mai quando scherzava o quando mostrava il lato più duro del suo carattere. Come tutte le persone straordinariamente intelligenti, Paolo sapeva essere crudele. In più c’è da considerare che lui era emerso tardi, a quasi quarant’anni: era pervaso da una punta di rancore per tutto quello che aveva dovuto superare prima del successo».

Poi però il successo per lui era arrivato. «Sì, ma Paolo non era felice. Una volta stavamo girando a Courmayeur; mi si avvicinò e mi disse: “Strehler mi vuole con sé nel ruolo del buon soldato Svejk”. Io replicai: “Ottimo, tu sei il buon soldato della Megaditta. Gli dirai di sì, vero?”. Non rispose. Poi non se ne fece nulla: capii che a lui bastava aver ricevuto quella proposta. Era sazio solo perché un grande regista lo aveva chiamato. Sul lavoro era un uomo rispettosissimo: era lui che veniva nella mia roulotte a ripassare la parte, era lui che chiedeva al regista di rifare una scena perché io non ero emersa bene».

Nel privato era comunque gelido. «Le racconto questo aneddoto. Poco prima di morire, con lui che era già sulla sedia a rotelle, andammo nel salotto televisivo di Barbara d’Urso a raccontare Fantozzi. Quando la conduttrice gli chiese come mi aveva scelta, lui non si scompose e rispose: “Come si sceglie un cesso”. Io allora ribattei secca: “Ma con quel cesso hai guadagnato molto”. Non replicò. Uscimmo dagli studi televisivi. Io mi avvicinai, tirai fuori il libretto di assegni e gli dissi: “Adesso possiamo essere amici?”. Lui non parlò per qualche minuto. Poi mi guardò e mi disse: “Quanto sei bella”. Furono le ultime parole che Paolo mi disse e io capii tutta la sua grandezza, la sua umanità forse nascosta sotto un’apparente crudeltà. Siamo attori, recitiamo sempre».

E con Milena Vukotic, cioè la signora Pina Fantozzi, oggi siete amiche? «No, per niente. Innanzitutto eravamo rivali, perché lei era la moglie e io l’amante: certo, si recitava, ma non mi ispirava una reale voglia di amicizia. In realtà nessuno riusciva a essere amico di nessuno su quel set. E sa perché? Perché i film di Fantozzi sono straordinari nel trasformare l’ufficio, la famiglia, le relazioni affettive e le amicizie in grandi gironi danteschi. Finivi per aver paura di essere risucchiato in quel gorgo infernale e così evitavi accuratamente tutti i colleghi. Solo con il ragionier Filini io ridevo tanto. Ma esclusivamente tra una scena e l’altra, non fuori dal set».

Il grandissimo Gigi Reder. «Io lo chiamavo Gigi Rider perché sembravamo due ragazzini delle medie: ci facevamo gli scherzi, commentavamo le scene con frasi sconce, insomma ci divertivamo. E Paolo ci guardava sorridendo, secondo me con una punta di invidia: lui era già divo e non poteva permettersi intemperanze da vecchi attori di teatro».

E Mariangela, cioè l’attore Plinio Fernando, com’è? «Bizzarro. Qualche volta rimaneva con gli abiti da bambina tra una ripresa e l’altra solo per farsi prendere in braccio da qualche ignara comparsa che non si era accorta di coccolare una bambina ma un ragazzo maturo. E molto astuto!»

Anna, chi è stato il grande amore della sua vita? «Nello Riviè, che conoscevo dai tempi dell’università ma all’epoca non mi filava. Ci siamo ritrovati più tardi e siamo stati insieme fino alla sua morte (nel 2002, ndr.). È stato un grande amore, anche se io non ho mai detto “ti amo” nella mia vita, ogni volta che sento questa espressione mi sembra di essere in un film scadente».

Lo ha mai tradito? «No, ma mentre stavamo insieme nella mia vita è comparso un uomo. E allora io ho commesso l’errore che commettono molte donne: ho creduto che dietro la natura taciturna di questo signore ci fosse chissà quale profondità morale. Solo in seguito capii che stava zitto perché non aveva nulla da dire. Così all’inizio scattò una specie di dipendenza: io che cercavo di interessarlo regalandogli libri, biglietti del teatro. Lui non accorciava la distanza, restava chiuso nella sua impenetrabilità. Fino a quando non cominciò a chiedermi dei soldi in prestito: prima sei milioni (di vecchie lire, ndr.), poi dieci. Insomma, mi ritrovai ingannata e derubata. Tornai da Nello».

Lui capì? «Sì, perché comprese che io “mi ero fatta un film”, come si dice a Roma. Avevo semplicemente interpretato il ruolo di una donna che perde la testa per una figura misteriosa, niente di più. Ho fatto l’attrice, sono un’attrice. Punto».

Lei ha interpretato anche Cyrano. «Perché credo che sia molto femmina come personaggio. Soffre per il suo naso, ma sa bene che con altre qualità, quelle interiori, si possono raggiungere mete inaspettate. Quello che accade a me sul palco: mi sento bellissima, sensuale, libera. Non mi è mai passato per la testa di ritoccarmi il naso o di tirarmi la faccia: ho una chirurgia estetica molto più potente, il teatro.

Posso essere tutto, santa e puttana, buona o cattiva, bella o brutta. Quando, ancora oggi, sento che il pubblico alla fine esplode in applausi fragorosi, penso di aver fatto proprio bene a fare l’attrice. E non parlatemi di morte: sono atea, paradiso e inferno sono favole bellissime, ma so anche riconoscere il talento di Dante. Ogni altra storia è una storia scritta male».