Tuttolibri, 30 aprile 2022
Su "Oceano. Filosofia del pianeta" di Simone Regazzoni (Ponte alle Grazie)
Che cosa accomuna tutti gli uomini? A questa domanda la filosofia, da Kant a Husserl e a Heidegger fino a oggi, ha risposto: li accomuna il fatto di abitare la terra, di poggiare i piedi su di essa, di avere un che di stabile da contrapporre al vagabondaggio nel tempo e nello spazio.
La terra. Il pianeta Terra. Ma anche, più semplicemente, la terraferma. Cioè la stabilità di un fondamento su cui sia possibile edificare: una casa, una città, un mondo. È sulla terra che l’uomo si appropria di sé e del suo destino. Sulla terra l’uomo diventa uomo.
Peccato però che la terra sia terraferma solo fino a un certo punto. Circondata dalle acque, la terra emersa in realtà si muove e scivola sulle acque impercettibilmente ma inesorabilmente. E non a caso nel corso della storia, dai tempi più antichi a quelli odierni, essa è stata descritta non già come scoglio ma come legno galleggiante, come bastimento, come arca. Inoltre il pianeta Terra è un pianeta che fluttua in un ambiente in tutto e per tutto acquoreo e oceanico. Tale appare il pianeta non appena lo si guardi dalla stratosfera. Proprio come lo hanno potuto guardare e fotografare i primi astronauti in viaggio verso Luna.
E se il pianeta Terra non fosse affatto il pianeta Terra, ma fosse il pianeta Oceano? Ecco la domanda che Simone Regazzoni ci propone con questo suo magnifico libro.
Questione tutt’altro che oziosa, ma pertinentissima. Contenuto del discorso filosofico è la nostra origine, la nostra provenienza. La filosofia comincia interrogando la natura, cercando di far luce sulla matrice di tutte le cose, ponendo il problema della potenza che genera e si rigenera da sé. Ma un conto è pensare la natura come pianeta Terra. E un conto pensarla come pianeta Oceano. Nel primo caso la filosofia metterà capo inevitabilmente a un principio «stabile e inconcusso», qual è, ad esempio, il principio di identità e di non contraddizione. Nel secondo caso invece lo sguardo della filosofia sarà catturato dall’«abisso» e dal «mistero».
Insomma, la filosofia del pianeta Terra è una filosofia dell’essere e quindi della realtà qual è e quale non potrebbe essere altrimenti. La filosofia del pianeta Oceano è invece una filosofia del divenire, della trasformazione continua, dell’eterna metamorfosi. E se la prima porrà in alto, e poi contemplerà, quelle stelle fisse che sono le idee, la seconda vedrà in basso e nelle profondità marine i mostri e le creature innominate che vi si agitano.
Viene così delineandosi una scelta perentoria fra due concezioni opposte. Da una parte la filosofia della necessità, dall’altra la filosofia della libertà. E non è solo una questione di contenuti, ma dell’atteggiamento di fondo che il pensiero impone di assumere a seconda di come questi contenuti siano pensati. Se la natura è il pianeta Terra, l’atteggiamento sarà statico. Il filosofo sarà chiamato a prendere posizione. A poggiare i piedi saldamente sul suolo. E a porsi di fronte ad esso come a qualcosa che a sua volta gli sta davanti e intorno oltre che sotto i piedi in modo fisso e fermo. Ma se la natura è il pianeta Oceano, l’atteggiamento sarà dinamico. Nel senso che il filosofo non potrà afferrare con il pensiero l’essere che egli stesso è, ma dovrà immergersi col corpo nella natura oceanica di questo essere, abbandonarsi alla corrente in perpetuo movimento, lasciarsi condurre dalla sua forza indomabile senza pretendere di poterla né controllare né assoggettare.
Che la filosofia debba optare per l’una o per l’altra visione della natura e dell’essere, oltre che della filosofia stessa, era apparso chiaro fin dall’inizio. Principio di tutte le cose è l’acqua, aveva detto Talete. Tutto scorre, aveva detto Eraclito, contrapponendo quest’idea all’idea parmenidea della sostanziale immutabilità dell’essere. Ma poi a prevalere, in questa disputa, sarebbe stato Parmenide, e dopo di lui Platone. Contro i quali Nietzsche si scaglierà, proprio per bocca di Eraclito: «Non fatevi ingannare. Dipende dalla vostra vista corta, e non già dall’essenza delle cose, il fatto che voi crediate di scorgere da qualche parte una terraferma, nel mare del nascere e del perire». Senza troppa fortuna.
Una filosofia che pensi il nascere e il perire al di là della loro opposizione non può essere una filosofia che, come la filosofia di Parmenide, contrappone frontalmente essere e non essere. Deve essere invece una filosofia del divenire che sappia cogliere nel cuore della vita la potenza che tiene insieme essere e non essere, nascita e morte. «0ceano che è vita, potenza vitale, scrive Regazzoni, è al contempo morte, potenza mortale, che divora e inghiotte». Per la filosofia dell’essere la morte semplicemente non esiste, per la filosofia del non essere la morte è il senso della vita. Invece per la filosofia del divenire oceanico nascita e morte sono intrecciate e si appartengono l’una all’altra: la vita trova nella morte il suo compimento, lasciandosi trasformare continuamente dalla sua legge crudele, la morte a sua volta fa spazio alla vita e la illumina di una luce chiaroscurale che le restituisce tutto il suo valore e il suo fascino. «Mentre vivifica la vita finita, Oceano minaccia la dissoluzione e la morte».
Come si pone a questo punto il filosofo del divenire nei confronti della natura oceanica? Qual è la sua postura caratteristica e più propria? Non certo quella dell’esteta che, standosene al sicuro sulla terraferma, osserva i pericoli corsi dai naviganti e gode della propria incolumità. Ma neppure quella del mistico che, volendo identificarsi con l’uno-tutto, non teme il naufragio, anzi, lo cerca. Semmai quella di chi si abbandona al moto ondoso e lo cavalca, non per sfidarlo, ma per assecondarlo. Insomma, è la postura del surfista. Esattamente la postura che secondo Regazzoni è già suggerita dal verbo ocheo, con cui Talete indica lo stare della terra sull’acqua come una tavola di legno, e la cui traduzione esatta sarebbe proprio «surfare».