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 2022  maggio 01 Domenica calendario

Intervista a Monica Ali - su "Amore matrimonio" (Mondadori)

«Scrivo di argomenti che per me sono importanti, ma alla fine una storia è una storia. Deve conquistare il lettore. Non voglio che i miei libri sembrino una lezione». Sulla base di un romanzo inedito poi diventato un fenomeno, la rivista Granta nel 2003 la inserì tra i migliori dieci giovani talenti narrativi: da allora Monica Ali - nata a Dacca, nel Bangladesh e trasferitasi in Gran Bretagna con i genitori a quattro anni - non ha smesso di aiutare i lettori ad aprire gli occhi sulla società, sui rapporti tra culture ed etnie diverse, sulle dinamiche familiari, sul contrasto tra le aspirazioni della nuova generazione e quelle dei genitori. L’appuntamento è in un locale di Dulwich, quartiere pieno di prati ordinati e di belle case dove Ali abita con il marito e i due figli (ora all’università). Arriva puntualissima, il viso liscio e privo di rughe rimasto uguale a quando era agli esordi. La sua presenza non desta più di un paio d’occhiate curiose. Ordina un té alla menta. L’uscita del suo nuovo romanzo, Amore Matrimonio, segna la fine di un lungo silenzio, una pausa dovuta al «catastrofico crollo di autostima» innescato in parte dalle reazioni al suo libro sulla principessa Diana, La storia mai raccontata.


Dopo Brick Lane - Sette mari tredici fiumi -, Alentejo Blue e In the Kitchen, aveva osato avventurarsi in un mondo bianco. Non tutti i critici e i lettori l’avevano però seguita. Amore Matrimonio è destinato a un iter diverso. Prima ancora della pubblicazione, la Bbc si è assicurata i diritti televisivi di un romanzo in grado di catturare ansie e problematiche dei nostri tempi, dalla crisi del sistema sanitario alle app per cuori solitari, dalla profilazione etnica a forme subdole di razzismo che ancora perdurano. Yasmin, figlia adorata di una famiglia indiana, e Jo, latteo primogenito di una nota femminista inglese, stanno per sposarsi. L’incontro tra futuri consuoceri segna l’inizio di un nuovo percorso.




Amore Matrimonio è stato definito come un romanzo che raccoglie il testimone di Brick Lane nell’ottica di una narrativa sul multiculturalismo. È giusto secondo lei?

«Cerco di non leggere le recensioni, ma un po’ di tempo fa siamo andati a trovare mia suocera a Bristol e lì, sul frigorifero, ecco il commento di un giornale, il Times mi sembra. Il titolo era qualcosa come “Brick Lane per il 2022’‘. Sono rimasta sbalordita. Mi sembra una riflessione così stupida, ignorante, sbagliata su tantissimi livelli. La protagonista di Brick Lane era cresciuta nel Bangladesh, non aveva studiato, conosceva pochissime parole di inglese, si era sposata con un matrimonio combinato, viveva in un quartiere molto povero di Londra. Yasmin è una giovane donna britannica, è nata qui, parla inglese, è estremamente istruita, vive in un quartiere periferico rispettabile, lavora. Credo che se un uomo bianco avesse scritto 20 anni fa di una famiglia working class con certe difficoltà e in seguito di una famiglia di classe media dello stesso colore nessuno avrebbe visto tra i due libri alcuna somiglianza».


Forse il giornale voleva dire che, come Brick Lane , Amore Matrimonio offre al lettore uno scorcio di quel mix di culture ed etnie che fa di Londra la grande città che è?
«In realtà il mondo di Brick Lane non è multiculturale. La comunità che racconta non è integrata. Ci sono pochissimi personaggi bianchi. No. Quando vedo un titolo del genere purtroppo penso che siamo ancora nella situazione in cui tutte le famiglie bianche vengono considerate uniche e diverse, mentre le famiglie dalla pelle marrone alla fine sono tutte uguali».


Yasmin è un bravo medico, una donna simpatica e intelligente. Spesso però è trattata come se fosse la portavoce di tutti gli emigrati del sud asiatico, o addirittura di tutti i non-bianchi. Come mai?
«Perché il colore rimane nella nostra società un fattore estremamente significativo e può essere una barriera. A Yasmin così dà molto fastidio essere considerata la portavoce di un gruppo etnico: non le piace il presupposto che per lei la sua etnia sia un elemento qualificante al di sopra di altri. Lei stessa, però, arriva a conclusioni sbagliate su altri personaggi. Sua madre, ad esempio, che non vede completamente e considera principalmente per il suo ruolo in casa e in cucina. È Harriet, femminista bianca e intellettuale, possibile sua suocera, una donna fastidiosa, che si intromette sempre, eppure magnetica e in grado di accettare ciò che è diverso, a permetterle di comprendere sua madre. Queste dinamiche non funzionano solamente in una direzione. Sarebbe difficile vivere senza mai cedere a interpretazioni semplicistiche».


È il destino di tutte le madri, non essere “viste” completamente dai figli?
«Ah. Credo che sia così, anche quando si tratta di un figlio adulto. Ricordo che mia figlia a circa 16 anni mi disse sorpresa, di ritorno dalla casa di un’amica, che i genitori dell’altra ragazza avevano alcuni miei libri: “Sembra che tu sia una scrittrice abbastanza brava’‘».


Vive in Gran Bretagna da quando era bambina. La Gran Bretagna oggi è un Paese con una buona integrazione?
«Gli Anni 70 sono stati l’epoca del National Front, del fascismo, del “Pakis go home”, degli skinheads. Anche nel contesto della Brexit, della nuova ondata di xenofobia, del populismo e della politica di destra, non siamo più nella stessa situazione, ma questo non vuol dire che non ci siano problemi. Prendiamo il mondo di Brick Lane. Oggi esistono ancora difficoltà simili a quelle descritte nel libro, ci sono ancora donne del Bangladesh qui a Londra che non sanno come si prende l’autobus, come si entra in un bar a ordinare una tazza di té e così via. Abbiamo un amico di famiglia con un figlio all’università. La sua ragazza è pakistana, intelligente, brava, studiosa: il padre voleva rispedirla in Pakistan, non voleva che continuasse gli studi, l’ha picchiata. È stata costretta a scappare di casa...».


Anche in Amore Matrimonio ci sono abusi di vario tipo, sia nella famiglia bianca che in quella indiana.
«Casa propria può essere un posto pericoloso. Mi interessava esplorare come amore e affetto possono esprimersi in modo dannoso. Da una parte abbiamo una madre quasi soffocante, dall’altra un padre irascibile. La sua rabbia, però, è collegata alla paura. Sa cosa vuol dire essere un giovane musulmano, conosce i pericoli della profilazione razziale. Ho letto da qualche parte che questo è un romanzo che tratta di scontri culturali. In realtà non ci sono scontri tra etnie diverse, più tra classi sociali differenti, tradizioni e aspirazioni e divergenze all’interno di una stessa comunità. È una cosa che vedo spesso, quest’idea che esista una purezza ideologica e che spetti ad alcui elementi preservarla o proteggerla, criticando chi la interpreta a modo suo».


Questo romanzo giunge dopo una lunga pausa dovuta in parte a una forma di depressione della quale ha parlato apertamente. È difficile essere così onesti?
«Sì e no. La verità è che tutti attraversiamo momenti bui e difficili, c’è una grande differenza tra apparenze e realtà. È un argomento che mi interessa anche come scrittrice. Con l’aiuto della terapia ho imparato che la comprensione e la compassione che proviamo per gli altri può essere rivolta anche a sé stessi. Chi mai l’avrebbe immaginato!».


Il sistema sanitario ha un ruolo da semi-protagonista nel suo romanzo. Perché?
«Quella del medico è una delle professioni che gli emigrati indiani - e non solo - sognano per i propri figli. È un grande orgoglio avere un medico in famiglia. Aveva senso quindi che Yasmin fosse spinta dal padre a praticare la sua professione. Nel libro c’è l’arco dalla nascita alla morte: Jo si occupa di ginecologia, Yasmin di geriatria. Già prima della pandemia si parlava molto del sistema sanitario e delle sue difficoltà. Erano venuti alla luce, ad esempio, casi di anziani bloccati in ospedale perché mancavano le strutture giuste dove mandarli. Poi è arrivato il Covid e l’importanza del ruolo di medici, infermieri e personale è entrata nella mente e gli occhi di tutti noi».


Brick Lane , suo primo romanzo, le ha portato un successo strabiliante. Che rapporto ha oggi con il libro e il fenomeno che è diventato?
«A volte mi trovo a pensare ad alcuni suoi personaggi e a chiedermi cosa farebbero oggi. Come Shahana, la figlia ribelle di Nazneeen e Chanu. Ora che il libro è sul programma di studi della maturità mi scrivono lettori nuovi e questo mi fa molto piacere. Recentemente mi ha contattato una ragazza cresciuta come le protagoniste nella zona di Tower Hamlets. Mi ha detto che non si era mai sentita così compresa. È un grande onore ricevere una lettera così. Per quanto riguarda il fenomeno vorrei averlo goduto di più. Avevo due figli piccoli. Ero stanchissima, viaggiare era un problema. Mi ricordo che una volta un giornalista mi chiese come avevo fatto a scrivere un romanzo con due bambini. Avevo risposto che non era stato poi così complicato, che scrivevo quando dormivano, di giorno, di notte. Non era completamente vero. Mi sembrava brutto lamentarmi. Pensavo che la gente si sarebbe chiesta cosa avevo da lamentarmi. Ora forse sarei più onesta».


Il suo Brick Lane e Denti Bianchi , di Zadie Smith, hanno segnato l’inizio di un nuovo interesse nell’ambiente letterario inglese verso scrittori e storie non esclusivamente bianchi?
«C’erano stati altri libri importanti. Ad esempio Il buddha delle periferie, di Hanif Kureishi, che ho riletto di recente. Funziona ancora, non è invecchiato o superato. Avevo circa 20 anni quando è uscito e mi ricordo di aver pensato, wow, allora possiamo scrivere di cose così? Il mondo editoriale è cambiato molto, soprattutto con il movimento di Black Lives Matter. Come in tante industrie bisognerà vedere se si tratta di modifiche permamenti. In generale c’è più diversità, ma non basta se i vertici continuano a essere bianchi».


Nel suo romanzo La storia mai raccontata, la principessa Diana non muore e si costruisce un’altra vita negli Usa, come hanno fatto un paio di anni fa Harry e Meghan. Crede che con la duchessa i reali abbiano perso l’occasione di dimostrarsi più moderni ed inclusivi?
«Ricordo che ero andata a guardare il matrimonio a casa di un’amica. Abbiamo commentato il vestito, i fiori, la cerimonia con un bicchiere di prosecco. Sembrava un momento positivo, allegro, volto all’ottimismo e invece... Non conosco i dettagli della loro relazione, ma sicuramente nel modo in cui gli organi d’informazione hanno parlato di Meghan la sua razza è stato un fattore, anche se non sempre in modo esplicito. Un peccato».