Domenica, 1 maggio 2022
Dall’introduzione del curatore a "Racconti del pianeta Terra" a cura di Niccolò Scaffai (Einaudi)
La prospettiva dell’Antropocene è caratterizzata dalla consapevolezza di specie; per questo, uno dei suoi tratti caratteristici è la relazione tra l’animale-uomo e le altre creature. Narrazioni e figure dell’animalità, infatti, popolano l’immaginario contemporaneo, ma poggiano su un sostrato antico. L’immagine dell’animale è stata spesso associata al sogno ancestrale di un’epoca remota e l’ombra di quella condizione quasi mitica abiterebbe ancora gli spazi dell’inconscio. Lo scenario rituale in cui è stata elaborata l’immagine animale è all’origine della riserva simbolica cui tuttora attinge la rappresentazione dell’animalità nell’Antropocene. Perciò, accanto alla denuncia dello sfruttamento sistematico e del suo impatto ambientale, insieme alla messa in trama della relazione ecologica, la letteratura contemporanea offre esempi notevoli di recupero di archetipi dell’animalità.
«L’umanità ha voltato le spalle alla natura, da un pezzo: è fatta di individui, e punta tutto sulla sopravvivenza individuale, sul prolungamento della vita e sulla vittoria contro la morte e il dolore». Così, in Verso occidente, Primo Levi immagina l’invenzione di un farmaco capace di annullare il vuoto esistenziale che annienta l’amore per la vita. Nel racconto, che apre la sezione intitolata Gli animali ci riguardano in quest’antologia di Racconti del pianeta Terra, tale sofferenza viene attribuita anche agli animali, in particolare a una specie di roditori, i lemming. Il loro ritmo di proliferazione costringe folti gruppi alla migrazione, causando la morte di molti esemplari; partendo da questo spunto ecologico-naturalistico, Levi riflette sulla componente autodistruttiva degli istinti naturali.
Pochi racconti e pochi autori illustrano meglio quanto gli animali, come organismi e come allegorie, ci riguardino direttamente. Ma Levi non è il solo scrittore italiano del Novecento ad aver messo la questione in primo piano; la sofferenza animale è al centro, ad esempio, degli scritti di Anna Maria Ortese su Le Piccole Persone: «Di allevamenti, macello e caccia, di sperimentazioni e di giochi, che hanno per oggetto, ogni giorno, da tempo interminato, Piccole Persone, crediamo di sapere tutto. Non sappiamo nulla. E se lo sapessimo veramente, morremmo di dolore e vergogna.
Il tema ha un grande rilievo anche negli scritti di J. M. Coetzee e di Jonathan Safran Foer. Il primo, che all’argomento aveva dedicato già un libro come La vita degli animali, è tornato a parlarne in Mattatoio di vetro. La scrittura non può impedire la morte e la sofferenza, ma può conservare memoria della vita animale, altrimenti condannata all’indistinzione: «È per loro che scrivo. Quelle vite così brevi, così facili da dimenticare. Sono l’unico essere nell’universo che ancora se li ricorda, a parte Dio». Sul ruolo della scrittura riflette anche Safran Foer, sostenendo che una delle prerogative della letteratura sia costruire narrazioni efficaci, che abbiano effetto sul modo in cui percepiamo la nostra esistenza in relazione a quella degli altri, sul modo in cui abitiamo il nostro ecosistema sociale e biologico. «I fatti sono importanti, ma di per sé non forniscono significati», osserva Safran Foer; il significato ha bisogno anche di altro per esprimersi, ha bisogno di storie.
Una delle caratteristiche della narrazione ecologica consiste proprio nella delega del ruolo di protagonista agli ambienti e agli animali stessi, che entrano in una relazione per così dire paritaria con i personaggi umani e le loro vicende. In questo senso, la costruzione del racconto dà forma a una sorta di ecosistema. Tra gli scrittori che meglio hanno saputo illustrare questa qualità c’è Mario Rigoni Stern; nelle sue «storie naturali», ha rinunciato al ruolo di protagonista, scegliendo per sé una posizione decentrata, una funzione ausiliaria di portavoce o testimone della natura. È per questa caratteristica che, nei Racconti del pianeta Terra, al nome di Rigoni Stern ho affiancato quello di Winfried G. Sebald; in Gli anelli di Saturno, lo scrittore tedesco non si limita a mettere a fuoco il degrado ambientale, ma descrive e narra uno spazio autenticamente ecologico. Il libro di Sebald introduce infatti nella dimensione ambientale la variabile del tempo storico, che fa della natura non il quadro immobile di un soggetto che si mette a distanza, ma un personaggio che si evolve. La catena di rapporti di causa-effetto che lega le persone agli ambienti naturali e animali è il tema fondamentale anche di Narcissiana, tratto da L’arte di collezionare mosche dello scrittore ed entomologo svedese Fredrik Sjöberg: «Quasi qualsiasi intervento umano può creare un ambiente che corrisponde alle esigenze di sussistenza, a volte piuttosto complesse, di un’insignificante mosca».
Gli animali che amiamo dello scrittore francorusso Antoine Volodine immette invece in un immaginario distopico; nel libro, l’animalità è declinata secondo i modi del fantastico e del new weird (lo strano, o sconcertante, che spesso accompagna la rappresentazione di figure ibride – tra umano e animale, o tra naturale e artificiale – ricorrenti nell’immaginario contemporaneo). Le creature che popolano il libro, come Wong, il protagonista di Brutta china (incluso in quest’antologia), collocano appunto il rapporto tra animale ed essere umano sotto una luce straniante. La soglia tra le specie, su cui si basa da sempre il rapporto di timore e controllo che l’essere umano istituisce con gli animali, sembra abolita; la pietas nei confronti delle creature, percepibile nelle opere di Ortese o Coetzee, è calata qui nell’immaginario postumo e ibrido dell’Antropocene.