Il Messaggero, 1 maggio 2022
Machiavelli, le teorie superate dalla realtà
Il 3 maggio 1469 nasceva a Firenze Niccolò Machiavelli. Malgrado l’immagine di utilitarista spregiudicato e amorale cucitagli addosso dalla tradizione, fu in realtà un buon patriota, innamorato della sua Firenze e ancor più dell’Italia. Si era dedicato giovanissimo alla carriera politica, assumendo vari incarichi nella sua città natale, ricca, fiorente e litigiosa. Nel 1498 fu eletto segretario dei Dieci della Guerra e vi rimase per 14 anni, dimostrandosi competente e capace. Durante una delle sue missioni diplomatiche conobbe Cesare Borgia, che in due anni aveva rovesciato una dozzina di signorotti ribellatisi al padre, il papa Alessandro VI, e aveva eliminato i rimanenti in una sanguinosa imboscata.
l’ESERCITO DI FIRENZE
Machiavelli vide in questo spietato condottiero il possibile unificatore di un’Italia frammentata e ne fece un simbolo eroico, come secoli dopo Nietzche avrebbe fatto con Bismark. Nel frattempo, convinse Firenze a munirsi di un esercito di cittadini, preferendoli alle inaffidabili e turbolente milizie mercenarie. Questa truppa di robusti paesani debuttò con successo nella guerra contro Pisa, ma si dissolse poco dopo davanti alle milizie della Lega Santa che il Papa Giulio II aveva scatenato per sopprime la Repubblica e rimettere i Medici al potere. Non sempre i pontefici sono stati pacifisti. Machiavelli perse il posto, la reputazione e la libertà. Fu incarcerato, sottoposto a severi interrogatori e alla fine rilasciato con il beneficio del dubbio.
GLI APPETITI
Politicamente e moralmente finito si ritirò a San Casciano con la famiglia. Qui rimase per gli ultimi 15 anni di vita, passando le giornate tra la quiete dei boschi e il chiasso delle osterie, alternando i classici latini con i peggiori gaglioffi e i più scellerati bordelli. Occasionalmente seduceva qualche contadinotta, traducendo questi appetiti in linguaggi sboccati. La sua commedia, La Mandragola è una boccaccesca sequenza di inganni per vincere le resistenze di una donna sposata. Oggi non la legge più nessuno, e chi cerca di farlo arriva con fatica alla fine. Ma di notte l’uomo si trasformava: si levava di dosso, racconta lui stesso, tutto quel letame e si tuffava in un mondo di meditazioni sul passato, deplorando il presente e scrivendo per il futuro.
IL RANCORE
Il Principe fu composto nel 1513, fu copiato clandestinamente e circolò in manoscritto; le Istorie fiorentine furono terminate nella prima metà del ventennio. Entrambe le opere, pubblicate postume, costituirono il prodotto di quegli anni di povertà, di isolamento e di rancori, ma espressero una filosofia politica compiuta, poi ingiustamente ridotta in sommarie formule negative. Quella più famosa, che il fine giustifica i mezzi, fu un aggiustamento dei commentatori.
In realtà Machiavelli diede alle sue teorie una formidabile sistemazione logica, coerente con i presupposti dai quali partiva: che la natura umana è sempre la stessa, ed è fondamentalmente malvagia, egoista e aggressiva; che queste animose attitudini devono esser controllate dalla forza, mitigate dalla consuetudine e all’occorrenza utilizzate dall’inganno; che il compito del politico è quello di creare, proteggere e rafforzare lo Stato, e che a questo fine deve adeguare i mezzi disponibili agli obiettivi che si propone; che la simulazione e la dissimulazione sono indispensabili per aggiungere autorevolezza all’autorità del Principe; che la pace provoca riposo, il riposo disordine e quest’ultimo rovina; e che in politica non esiste nessuna morale, salvo quella del successo.
IL REALISMO
Era una visione che recepiva alcuni concetti antichi, a cominciare dall’Ecclesiaste, e ne anticipava di nuovi che Hobbes e Darwin avrebbero tradotto in un naturalismo selettivo. In conclusione, Machiavelli vedeva l’umanità com’era, e non come vorremmo che fosse. Non fu il primo a concepire la politica come l’arte dell’utile e della forza. Il concetto era già stato espresso duemila anni prima da Tucidide, nell’intimazione di resa che gli Ateniesi fecero ai Meli: Per quanto possiamo immaginare del mondo degli dei, e sappiamo con certezza di quello degli uomini, entrambi ubbidiscono a una legge di natura, che spinge i più forti a dominare i più deboli. Noi ci limitiamo ad applicarla, e così fareste voi, se foste al nostro posto.
Un’edittazione solenne, che la storia ha confermato nel corso dei secoli. È la stessa che ha inteso applicare Putin quando ha invaso l’Ucraina. Il satrapo del Cremlino, con cinquemila testate nucleari nell’arsenale e diecimila carri armati in riserva ha evocato le minacce della Nato e della sua pacifica nazione confinante per dissimulare, come il lupo con l’agnello nelle favole di Esopo e di Fedro, l’intenzione di divorarla. Con la variante che questa volta l’agnello si è dimostrato un montone con le corna robuste: anche ammesso che in politica il fine giustifichi i mezzi, questi ultimi devono essere accuratamente valutati prima di intraprendere un’azione, e soprattutto vanno analizzati quelli del nemico. Sottovalutarne la capacità, è sempre stato fatale.
L’ELOGIO DEL FOSCOLO
Fu una delle tante ironie della storia che il più famoso teorico della politica fallisse in tutte le sue ambizioni personali. Niccolò Machiavelli morì il 21 giugno 1527 dimenticato e in miseria, lasciando alla famiglia soltanto debiti. Ma alla fine fu sepolto in Santa Croce, ispirando al Foscolo un elogio funebre che tutti gli studenti imparano a memoria, e che ci rivela il sangue e le lacrime di cui grondano gli scettri dei regnatori. Tuttavia, aggiungiamo noi, non sono sangue e lacrime sempre uguali. Quando Churchill promise blood and tears, toils and sweat (sangue e lacrime, fatica e sudore), spronava gli inglesi a difendere la civiltà occidentale e cristiana da un dittatore sanguinario e pagano. È lo stesso che fa oggi Zelensky, davanti all’aggressione di un veterocomunista che accende ceri alla Madonna mentre fa stuprare le madri ucraine.
I TRAVISAMENTI
Machiavelli sapeva che la ragion di Stato può, e spesso deve, prescindere dai vincoli della morale e della religione, ma non immaginò mai i crimini contro l’umanità che contrassegnano la guerra moderna. Certificò la legittimità dell’inganno, perché in politica la verità è così volatile che va circondata da una scorta di bugie. Ma non arrivò mai ad ammettere gli sfacciati travisamenti della realtà con i quali secoli dopo Hitler e Putin avrebbero giustificato l’aggressione dell’Austria e dei Sudeti, del Donbass e di Mariupol, con una pretestuosa richiesta di protezione dei loro abitanti. Il saggio fiorentino sapeva che l’invalicabile limite per l’uso della menzogna non è quello dell’etica, ma quello del ridicolo.