La Stampa, 1 maggio 2022
Io, sopravvissuto agli 8000
La nube si apre quasi ai bordi della splendida e temibile «falce» di ghiaccio. Uno dei due elicotteri di soccorso s’infila; poco dopo il pilota Alistair Hopper può vedere sul ghiaccio tormentato da seracchi l’alpinista disperso: Giampaolo Corona, 49 anni, guida alpina del Trentino. Questione di minuti, un altro sorvolo, poi l’avvicinamento e a 6.800 metri il recupero con una «longline», una fune calata dall’abitacolo per circa 15 metri. Salvo. Via dalla «falce» dell’Annapurna, quella morbida linea curva del ghiacciaio del primo ottomila scalato dall’uomo, da cui si staccano seracchi, blocchi di ghiaccio grandi come condomini che provocano valanghe devastanti.
L’alpinista italiano era ritenuto «disperso» per circa venti ore. Gli altri alpinisti che avevano raggiunto la cima il 28 aprile erano o ritornati al campo base o stavano per raggiungerlo. Corona non rispondeva alla radio. Si temeva il peggio. E non era rientrato neppure uno dei suoi due compagni di salita, lo svedese Tim Bogdanov. Poi a metà mattinata di venerdì la sua voce alla radio: «Sto scendendo, ce la faccio». Ancora silenzio e man mano che le ore passavano si è di nuovo pensato al peggio. A tenere i contatti con la famiglia l’alpinista bergamasco Simone Moro, in Nepal con il suo elicottero. Da lui anche parole di ottimismo: «Giampaolo sa cosa fare, è un professionista». Tutto era già pronto per una missione di soccorso, nella speranza che nubi e nevicate non ostacolassero il volo. Ieri mattina l’avvistamento.
I due elicotteri impegnati hanno trasportato al campo base, poi in ospedale a Kathmandu, sia Corona sia Tim Bogadanov. E ieri l’alpinista italiano ha scritto sul suo profilo Facebook: «Sono in ospedale a Kathmandu. Il 28 ho raggiunto la cima dell’Annapurna. Senza ossigeno e senza sherpa d’alta quota. In discesa ci ha colti una tempesta e ho perso la via verso C4». Il campo 4 è a quota 7.100 metri. Di lì alla cima c’è ancora un chilometro di dislivello. Ancora Corona: «Ho pernottato due notti all’aperto, a oltre 7 mila metri, senza tenda, senza nulla da bere. Stamattina l’elicottero di soccorso della Seven summit (l’agenzia nepalese che organizza le avventure verticali, ndr) mi ha evacuato dapprima verso il BC poi fino a Kathmandu, in ospedale, dove sto curando i congelamenti che ho riportato. Conto di tornare in Italia presto». Le sue foto sull’elicottero lo mostrano sorridente, con i segni del gelo sul viso, soprattutto sul naso.
Quel perdere la via non è riferito soltanto alla tempesta, alle nebbie che tolgono visibilità, ma anche al freddo. Corona ha raggiunto gli 8. 91 metri della vetta senza ossigeno ed è stato per ore oltre i 7.500 metri. La mancanza di ossigeno e le temperature sotto lo zero contribuiscono al disorientamento. È uno stress che il fisico deve sopportare oltre alla fatica della salita. La lucidità viene meno. In condizioni meteorologiche difficili tutto diventa più complicato. Gran parte degli incidenti sugli Ottomila accadono proprio nella fase del ritorno verso il campo base. È il maltempo che ha rallentato i due alpinisti. Per questo Corona scrive di aver trascorso due notti oltre i settemila metri con la sola tuta d’alta quota, senza altra possibilità di ripararsi dal freddo. In più non aveva più nulla da bere: ipossia, gelo e disidratazione. La sua grande esperienza, anche sugli Ottomila, gli ha consentito di resistere. Il 27 aprile scriveva su Facebook: «Siamo a 7.000, io, Hans e Tim. Siamo quelli più in alto. Più in basso ci sono gli altri, con gli sherpa e tutto il resto. Domani è il summit day. Quando vediamo accendersi le loro frontali, ci mettiamo in moto anche noi. Meteo buono. È il momento giusto. O la va o la spacca».