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 2022  maggio 01 Domenica calendario

Il traffico delle tigri allevate in gabbia

«Abbiamo 40-50 felini, ma qui al momento ce ne sono 26. Gli altri sono in tournée in Russia e Tunisia». A parlare è un domatore di Latina. Non sa di essere ripreso da una telecamera nascosta mentre, nelle campagne dell’agro pontino, vicino alle gabbie dove custodisce tigri e leoni, racconta il suo business legato al traffico di felini. «Fatta la legge, trovato l’inganno», commentano i suoi interlocutori, spiegandogli che hanno amici facoltosi che vogliono le tigri, e per averle sono disposti a pagare bene.
All’opera, a Latina e non solo, c’è un sistema che sfrutta le maglie larghe delle leggi italiane e trasforma in un business gli animali a rischio estinzione, facendoli riprodurre senza freni e poi trasferendoli come pacchi postali da un angolo all’altro del pianeta. Per capirlo basta soffermarsi su un dato solo in apparenza paradossale: ormai, in natura, le tigri libere sono appena 3.900, quelle che passano la vita segregate in gabbia sono oltre il doppio, 8.100.
La Lav (Lega antivivisezione) sta cercando di accendere i riflettori sul tiger business e, grazie anche alle immagini inedite, girate in incognito, che l’associazione ha ricevuto da un informatore anonimo e che ha dato in esclusiva a Repubblica, ora è in grado di raccontare come noleggiare un grande felino sia persino più semplice che affittare uno scooter. «Non mi piace così, non farmi alzare la voce», dice il domatore a un leone che ruggisce dietro le sbarre, mentre mostra la “merce” ai suoi potenziali clienti.
Tre anni fa, esplose il caso delle dieci tigri bloccate al confine tra Polonia e Bielorussia. Mancavano alcuni documenti, e vennero anche contestate le condizioni in cui viaggiavano gli animali, destinati formalmente a uno zoo, in Daghestan, di cui non venne mai trovata traccia. Una delle tigri morì e le polemiche investirono i Montico, nota famiglia circense, che da tempo ha messo radici nel capoluogo pontino, la città da cui il carico era partito. La Lav, da allora, si batte perché venga fatta luce sulla vicenda. E sull’intero sistema del traffico, che ha proprio a Latina uno dei suoi epicentri.
I dati raccolti dalle associazioni animaliste collocano l’Italia tra i principali Paesi per il commercio di tigri in Europa (tra il 1999 e il 2017 ha importato e esportato il maggior numero di questi animali, per un totale di 469 capi). E dicono che il Vecchio continente è quello in cui viene fatto nascere l’85% delle tigri poi immesse nel circuito commerciale mondiale. Del resto, sul suolo europeo non è stata ancora vietata la riproduzione in cattività dei grandi felini, che dovrebbe essere possibile solo quando è necessaria per la conservazione delle specie in natura. Il business, quindi, va avanti.
Le tigri possono essere noleggiate, formalmente, solo da chi ha una licenza per le “mostre itineranti”, e poi spostate (dentro gabbie) da una parte all’altra del globo. Ma questa regola formale può essere aggirata facilmente e senza troppi controlli. Il domatore di Latina, un uomo di destra e in passato anche esponente del movimento dei “forconi”, lo rivela in favore di telecamere, sottolineando anche che lui gli animali li lascia «tranquilli» e li fa riprodurre per chi li vuole. Purché si paghi.
Si parte con «un minimo di tremila euro» per avere in affitto una coppia di tigri o leoni e si va avanti a colpi di mille euro per ogni esemplare in più. Senza troppe autorizzazioni, quelle servono per gli zoo. Basta restare in un posto, dire che gli animali fanno parte di una “mostra itinerante” e il gioco è fatto. E se la presunta mostra non si sposta mai? «Stai chiuso due giorni e poi riapri», assicura il circense. Nel container ha un calendario di Mussolini in bella mostra: «Questo – dice con orgoglio – è il mio capo. Il leone che ebbe in dono gli fu regalato da mio nonno, la leonessa Italia, siamo amici anche del nipote di Grandi. Nel mondo dei circensi, il 95% delle persone è di destra».
Ma più che la politica, a lui interessa il tiger business. E tra le tante zone grigie c’è anche quella della possibilità di pagare in nero. «Siamo abbastanza esperti, avendo contatti in tutto il mondo. Lavoriamo molto per la pubblicità, e ci sono le cosiddette scatole cinesi», sottolinea il domatore pontino.
«Questo scandalo – afferma Gianluca Felicetti, presidente della Lav – avviene grazie a una lettura morbida della legge che permette a circhi e mostre “viaggianti” di far riprodurre animali considerati pericolosi. E il meccanismo rischia di andare avanti se il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, non farà cadere il veto posto dai suoi uffici alla proposta di vietare l’importazione, la detenzione e la riproduzione di animali selvatici ed esotici». L’associazione auspica che il premier Draghi e il ministro Speranza se ne occupino al prossimo Consiglio dei ministri.