Corriere della Sera, 1 maggio 2022
Biniam Girmay punta al Giro
«Lucca è bellissima. Ma vuoi mettere Asmara? I percorsi in altura attorno alla città dove ti alleni senza traffico, il clima mite, i paesaggi magnifici. In Eritrea si vive bene, il cibo di ottima qualità è perfetto per noi atleti, i rapporti umani contano tanto perché non siamo ossessionati dai telefonini come in Europa. Il ciclismo poi è amatissimo: fossi un calciatore non sarei così popolare». C’era un tempo in cui l’Italia (con la Toscana) era la terra promessa per i ciclisti dei Paesi emergenti: la dieta mediterranea, le squadre super organizzate, i percorsi di allenamento erano scuola dell’obbligo per diventare professionisti.
Nato ad Asmara 22 anni fa, Biniam Girmay – che nella stagione delle gare dopo Lucca ora vive a San Marino – rende omaggio al suo Paese. Un mese fa ha riscritto la storia del ciclismo, primo africano a vincere una classicissima (la Gand-Wevelgem) battendo belgi e olandesi sui loro «muri», in un contesto dove nascere nelle Fiandre era considerato requisito quasi genetico per il successo. «Dopo la gara – racconta – sono volato a casa: mi hanno accolto come un eroe nazionale. Quattro giorni di festa con la famiglia e poi sotto con gli allenamenti per il Giro d’Italia».
Ad Asmara Girmay ha cominciato da bambino con il calcio per passare poi alle due ruote, spinto dal padre. «Le prime gare – racconta— erano affollatissime: cominciai a vincere a 13 anni e a 17 un talent scout dell’Unione Ciclistica Internazionale mi propose uno stage in Svizzera, al World Cycling Center. Il primo mese fu un incubo: venivamo da decine di nazioni diverse, molti non parlavano inglese e ci si capiva a gesti. Alla prima gara, dopo una sola settimana, il coach fu chiaro: per venire qui hai lasciato l’Eritrea e la scuola, dimostrami subito quanto vali». Biniam lo prese in parola: in Belgio, nella tappa d’apertura di una classica per junior, duellò in fuga con un coetaneo fiammingo che poi umiliò in volata. Per il divino Remco Evenepoel quella fu l’unica sconfitta nella stagione.
«Parlare di ciclismo africano —spiega – non ha senso. L’Etiopia è una potenza nel running, non sui pedali. Il Kenya uguale. Noi eritrei ereditiamo la passione dalla dominazione coloniale italiana, ma dall’indipendenza degli anni Novanta a oggi è stata coltivata bene. Disponiamo di grandi talenti che hanno bisogno di trovare una squadra europea che offra loro un contratto stabile: la mia Intermarché-Wanty (team belga, ndr) è una delle poche». Alex Carera, agente italiano di Girmay, spiega che dopo la vittoria alla Gand l’hanno chiamato tanti team manager per «sapere se avevo sottomano qualche altro buon ragazzo africano». Quelli ingaggiati in Europa al momento sono dieci.
La rivoluzione eritrea da venerdì approda al Giro d’Italia. «A casa – spiega Girmay – si sono esaltati. Vincerai? Maglia rosa? Ho dovuto frenarli: non corro per la classifica generale, qualche piazzamento di tappa andrà più che bene. Certo, io sono in forma e la prima settimana mi piace. Non vedo l’ora di partire».