Corriere della Sera, 1 maggio 2022
Carlo V (Ancelotti)
L’abbraccio al figlio, il sorriso orgoglioso e gli occhi lucidi. Re Carlo quinto non ha retto all’emozione. Nel giorno dell’ennesimo trionfo ha faticato a trattenere le lacrime. E si è preso una bella rivincita con chi gli dava del bollito. Carlo Ancelotti si siede sul trono gonfio di titoli con la sua semplicità, forte e normale. Il Real Madrid scherza con l’Espanyol, battuto agilmente per 4-0, e Carletto, 62 anni da Reggiolo, diventa il primo allenatore a vincere tutti e cinque i principali campionati d’Europa: serie A (Milan 2004), Premier League (Chelsea 2010), Ligue 1 (Psg 2013), Bundesliga (Bayern Monaco 2017) e da ieri la Liga, con quattro giornate d’anticipo. Nessuno come lui.
Al Bernabeu – calcio d’inizio del super tifoso Nadal – la festa è annunciata perché al Madrid, a +14 sul Siviglia secondo, basta un pareggio. Ancelotti dà spazio a vecchi senatori (Marcelo e Casemiro) e ragazzi meno usurati (Camavinga). Si appoggia alle sgasate del brasiliano Rodrygo (a segno con una doppietta), mette in vetrina il suo diamante, quel Benzema autore di 42 reti in altrettante partite, in gol anche ieri. La prima persona che cerca al fischio finale è il figlio e vice Davide. Lo stringe forte, orgoglioso. Ha sempre avuto fiducia in lui, lo ha cresciuto a sua immagine e somiglianza, lo ha difeso. Ora ascolta i suoi consigli e se lo coccola. Salta in cerchio con lo staff (di cui fa parte anche il genero, nutrizionista), si leva la giacca appiccicata addosso per il caldo e infila il berretto bianco del Real campione (titolo numero 35). Quando Marcelo alza la coppa gliela passa, Carlo la solleva velocemente poi la cede a Modric. Non vuole levare spazio ai suoi giocatori, che lo prendono e lo sollevano al cielo. «Devo ringraziarli per il loro atteggiamento. Il record di campionati vinti? È un bel traguardo, soprattutto se penso a tutte le sofferenze passate quando si perdeva», dice contento.
Ha buoni motivi per esserlo. Quando la scorsa estate Florentino Perez lo ha richiamato molti hanno storto il naso. Il tecnico da tre Champions con due squadre diverse (Milan 2003 e 2007 e la Decima col Real) arrivava da due esperienze difficili. De Laurentiis lo aveva scelto per cancellare l’ombra di Sarri, salvo poi cacciarlo dopo un tumultuoso anno e mezzo. All’Everton altri mesi complicati, con due campionati incolori. Tornato al Real, circondato da campioni che lo adorano, ha già vinto Liga, Supercoppa di Spagna ed è in semifinale di Champions dopo aver eliminato Psg e Chelsea. È riuscito in poco tempo a prendere un gruppo di giocatori che sembravano sul viale del tramonto e li ha rimessi in carreggiata. Come? Mescolando giovani talenti e senatori, dando fiducia e responsabilità a Benzema, restituendo serenità ad uno spogliatoio depresso. Insomma, ha impresso di nuovo il suo marchio. Intelligenza e umiltà, nessun dogma tattico ma gestione e capacità di adattamento.
È nato con Sacchi, ma ha saputo trasformare quegli insegnamenti in idee semplici, mettendo sempre al centro i calciatori. Non cerca sensazionalismi, ascolta sornione chi gli dice che vince solo con squadroni e va avanti per la sua strada. Parla cinque lingue, pilota gli elicotteri, apprezza buona cucina e serie tv ma ieri, nel pomeriggio che lo incorona re (anche) di Spagna, ha ribadito: «Voglio solo festeggiare, non parlare». Fotografia del perché l’ancelottismo non esiste: Carlo non ostenta le sue virtù.
Il segreto del successo? Ancelotti «è felice. Nel calcio tutti sembrano soffrire come disgraziati – ha spiegato Valdano —, lui sorride». Ama il suo lavoro: «Il giorno che non mi diverto più smetterò di allenare». E guarda sempre avanti: «Voglio continuare a vincere titoli con il Real. Mercoledì con il City (nella partita che vale la finale di Champions) voglio questa atmosfera al Bernabeu». Normale e affamato. Sempre.