Corriere della Sera, 1 maggio 2022
Le armi creative usate in Ucraina
Vladimir Putin ha spesso citato le super armi, uno show di potenza che non sempre corrisponde a quanto si vede in Ucraina. Sul campo di battaglia infatti c’è di tutto: novità come i droni-kamikaze, apparati tradizionali, ma anche soluzioni semplici quanto efficaci.
La sigla indica il cannone americano da 155 mm spedito di gran fretta a Kiev. Trainabile, ha una gittata di 18 miglia, è «servito» da 10 uomini e di solito fa parte di una batteria di almeno sei pezzi. Se i soldati sono bene addestrati possono tirare 4 colpi al minuto. Gli americani ne hanno promessi oltre un centinaio e ritengono che la resistenza alla fine avrà una mezza dozzina di battaglioni. La sua precisione aumenta con il ricorso a radar specifici (ne sono stati garantiti diversi).
Ampio è l’uso di droni, in particolare i cinesi Dji, concepiti non solo per scopi militari: i prezzi variano dai 450 ai 1.000 euro l’uno e sono utilizzati per ricognizione e avanscoperta di piccoli nuclei. C’è una seconda tipologia, professionale, con camere termiche e precisione centimetrica che permette di guidare il tiro d’artiglieria. In più hanno la possibilità di avere canali sul telecomando per dispositivi di rilascio (granate, bombe): per questa seconda opzione, i prezzi variano dai 4.000 ai 6.000 euro. Gli ucraini si affidano anche a un’unità composta da operatori di droni e membri delle forze speciali che, a cavallo di quad, conducono imboscate ai danni delle colonne russe. Colpiscono di notte, utilizzando visori, fucili di precisione, mine innescate a distanza e droni con telecamere a visione termica.
Le foto mostrano piccoli mezzi, nati per uso civile, che sono stati riconvertiti dalla resistenza in un ruolo bellico. Di solito sono a 2 posti, hanno sull’intelaiatura un missile con il quale ingaggiare i corazzati. Permettono mobilità, si nascondono facilmente nella vegetazione, a volte hanno dei teloni mimetici. I commandos colpiscono a distanza e si allontanano sottraendosi all’eventuale risposta.
I russi stanno impiegando missili da crociera e altri terra-terra, per distruggere spesso strutture industriali, caserme, ferrovie. In alcuni casi, si sono affidati a bombe a caduta libera che non garantiscono alcuna precisione. Analisi occidentali sottolineano come abbiano difficoltà nel centrare veicoli in movimento, per una mancanza di sistemi adeguati e tattiche. Altro punto debole dell’Armata – sempre secondo fonti Nato – sono le mappe a disposizione, considerate superate: alcune risalirebbero agli anni ‘70.
Nei conflitti ci si adatta. E gli invasori hanno provato a farlo per proteggere i camion della logistica, presi di mira in modo incessante. Un rimedio effettuato in corso a dimostrazione di come non si siano preparati. Cassette di legno, sacchetti di sabbia, «blindature» rudimentali sono state piazzate ad avvolgere i veicoli. Numerosi carri armati sono stati dotati di una gabbia in metallo messa a coprire la torretta: un accorgimento per contenere gli effetti dei missili Javelin che piombano dall’alto. Un ombrello bucato.
Sono ancora le immagini a «raccontare». La resistenza ha scovato in qualche deposito mitragliatrici Maxim, quelle del primo conflitto mondiale. Miliziani filorussi hanno impugnato mitra Pps, nati a metà degli anni 40, riconoscibili dal caricatore a tamburo. Sull’altra barricata vengono usati i fucili Mosint Nagant, in mano a qualche tiratore scelto. Le forze speciali ucraine hanno poi trasformato il classico Kalashnikov in una nuova versione, il Malyuk. Non pochi mezzi di quelli promessi dalla Nato a Zelensky erano tenuti in riserva: è il caso degli «anziani» blindati M113 e di alcuni modelli d’origine polacca o slovacca. Senza dimenticare i carri armati T-72, di progettazione sovietica, presenti in gran numero su tutti i fronti. Alcuni governi trovano il modo di piazzare sistemi «datati» per ottenere in cambio armi più moderne dalla Nato.