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 2022  maggio 01 Domenica calendario

"PER MESTIERE HO AVUTO FIN TROPPO A CHE FARE CON GENTE DALL'EGO SMISURATO" - BRUNO VOGLINO, LEGGENDARIO AUTORE TELEVISIVO CHE HA FATTO DEBUTTARE IN TELEVISIONE VERDONE, TROISI, CROZZA, LITTIZZETTO E FAZIO (E MOLTI ALTRI) - "FABIO FAZIO È UN FINTO BUONO. HA UNO STILE GARBATO, A VOLTE FORSE OSSEQUIOSO, MA È UN UOMO DURISSIMO. E COMPILA LISTE DI BUONI E CATTIVI - FRECCERO FAREBBE DI TUTTO PUR DI APPARIRE. DA TEMPO VOGLIO FONDARE UN COMITATO NAZIONALE DI LIBERAZIONE DI FRECCERO DA SE STESSO NEGLI ANNI OTTANTA BERLUSCONI APRÌ UNA SEDE IN VIALE MAZZINI, PROPRIO DI FRONTE AL MIO UFFICIO. IO PENSAVO: DA QUI CON UNA CARABINA POTREI FARLO FUORI, MA..."

Prima dei talent show c'erano i talent scout. Prima dei video autopromozionali su YouTube o TikTok c'erano locali notturni, teatrini scalcinati o festival di provincia in cui comici e cantanti si esibivano sperando che tra il pubblico fosse seduta la persona che li avrebbe scoperti e condotti alla fama.

Magari fino alla tv. Anzi, alla Rai-tivvù. Ecco, per parecchi dei personaggi che hanno fatto e continuano a fare la storia della televisione italiana, quella persona è stata Bruno Voglino. Questo signore piemontese, che ha da poco compiuto novant' anni e se li porta benissimo, ha fatto debuttare in televisione Carlo Verdone («in teatro a vederlo eravamo in tre») e la Smorfia di Troisi («un collega mi disse: "Ho visto tre napoletani, la solita roba"; e invece era drammaturgia del miglior lignaggio»), Piero Chiambretti («al primo provino venne in camicia, calze e mutande a pois») e Maurizio Crozza, Luciana Littizzetto e Fabio Fazio («mi chiama mamma»).

Ha ideato o collaborato a programmi mitologici, dal Non stop degli anni 70 a Quelli che il calcio ad Avanzi, fino agli esperimenti più arditi della Rai 3 diretta da Angelo Guglielmi, come Cinico Tv. Ora, dopo una vita dietro le quinte (ma anche un po' davanti: fu il "preside" del primo Saranno famosi di Maria De Filippi, addirittura su Canale 5, «ma ero solo decorativo») si racconta in L'esondante ben temperato, appena uscito per Castelvecchi.

Un libretto di «ricordi, incazzature, malinconie» in ordine sparso: si passa da un elogio dei gatti alla memoria della guerra e della fame, da un Vittorio De Sica preoccupato per le ambizioni artistiche del figlio Christian alla leggendaria agendina di Gianni Minà («pesa due chili e mezzo»), dal proprio matrimonio, officiato da un funzionario del Comune più squinternato di Mr Bean, al Grande Torino visto allo stadio Filadelfia. «Sono vedovo, vivo da solo, ogni tanto ho bisogno di esondare. Ma senza esagerare con la lunghezza o i piagnistei, e soprattutto senza prendermi sul serio. Per mestiere ho avuto fin troppo a che fare con gente dall'ego smisurato».

Che Rai era quella in cui entrò per concorso nei primi anni 60? «Con tutti i suoi difetti era un luogo d'eccellenza. C'erano intellettuali veri, attenti alla società, non chiusi in una torre d'avorio. Pieni di slancio pedagogico verso un Paese tutto da ricostruire, anche dal punto di vista culturale. I democristiani colsero al volo l'occasione, la sinistra era come spesso in ritardo».

Lei però era di sinistra. «Sì, ma sa come si diceva: tocca assumere un democristiano, un socialista e uno bravo. Si vede che io ero uno di quelli, anche se non sono mai stato considerato affidabile da nessun partito. Per fortuna».

A proposito di ego, chi l'aveva più smisurato, Pippo Baudo o Mike Bongiorno? «Domanda tremenda! Pippo è sempre stato più intelligente dei suoi programmi. Resta un figlio della tv pedagogica: deve spiegare tutto, anche che il martedì viene dopo il lunedì, nel caso qualcuno del pubblico non lo sappia».

E Mike? «Grande professionista, disciplinatissimo ma, come dire, un po' più limitato. Molto rispettoso delle competenze. Ripeteva sempre: "Se lo dici tu che hai studiato..."».

È vero che ha fatto di tutto per portarla alla tv di Berlusconi? «Ne era innamorato. Mi tempestava di telefonate, mi prometteva mari e monti. Alla fine l'ho incontrato, il Cavaliere. Molto simpatico. Ma ho capito subito che il suo modello di tv avrebbe rincretinito gli italiani. Ho declinato cortesemente: "Guardi, non fa per me"».

L'avvento del Cavaliere fu un duro colpo per voi della tv pubblica... «Negli anni Ottanta aprì una sede in viale Mazzini, proprio di fronte al mio ufficio. Io pensavo: da qui con una carabina potrei farlo fuori, ma non ce l'ho e non la saprei usare, mi serve un killer, e dove lo trovo? (ride). Però le prime tv di Berlusconi erano vivaci, spericolate, e costrinsero la Rai a svecchiarsi, a togliersi i paramenti sacri. La nostra Rai 3 fu un frutto di quella stagione».

Da lì viene anche Fabio Fazio. «Il primo provino lo fece come imitatore, a 17 anni, ma si capiva che c'era qualcosa di più. Di lui apprezzo la capacità di stare a suo agio con tutti, dal giovane comico fino al Papa».

Forse perché è buono con tutti? «Macché, è un finto buono. Ha uno stile garbato, certo, a volte forse ossequioso, ma è un uomo durissimo. Sa quel che vuole e lo difende con le unghie e con i denti. E compila liste di buoni e cattivi».

C'è un suo ex collega di cui si parla molto, Carlo Freccero. «È incredibile: prima il no ai vaccini, ora il negazionismo sulla guerra, farebbe di tutto pur di apparire. Da tempo voglio fondare un Comitato nazionale di liberazione di Freccero da se stesso».

Molti talenti di oggi nascono sul web. Lei gli dà un'occhiata? «Non molto, mi capita di andare a ravanare, ma trovo molta improvvisazione, molta voglia di esibirsi e poca di sperimentare. Qualcosa di interessante c'è: uno come Lundini viene da quel mondo, magari metà delle cose che fa non fanno ridere, ma si vede che dietro c'è una ricerca».

Il suo maggior rimpianto? «Che nessuno mi abbia mai nominato presidente del Toro. L'avrei fatto benissimo».

Squilla il telefono: «Mi scusi, è mio figlio». Conversazione molto affettuosa, promessa di vedersi presto. Voglino mette giù con un gran sorriso. Pensavo non avesse figli. «Non ne ho infatti, era Fabio, non le ho detto che mi chiama mamma? Mi ha fatto i complimenti per il libro. Dice che l'ha letto tutto d'un fiato. Due volte».