Avvenire, 30 aprile 2022
I portieri di oggi visti da Pietro Carmignati
Non basta dover stare attenti agli avversari, ai loro colpi, alle loro intuizioni, no. Alla Saba, il portiere caduto alla difesa ultima vana oggi cade anche perché gli avversari li ha in casa: tieni la palla, pensaci tu. Patatrac. Radu nel bonus scudetto dell’Inter a Bologna, Meret con l’Empoli, Buffon a Perugia: tutto in cinque giorni. E Szczesny a Udine, Donnarumma col Real, una lista anche più lunga di palloni sanguinosi per un ricco album di figuracce. La colpa? Del portiere. Facile no? Calma. Pietro Carmignani, solido numero 1 d’antan, preparatore dei portieri del Milan di Sacchi e suo vice in Nazionale, allenatore dell’ultimo Parma capace di vincere qualcosa (la Coppa Italia 2002), una sua idea ce l’ha e non è una difesa d’ufficio, né un esercizio di passatismo. È buon senso pragmatico, casomai. Perché gli errori si fanno e, come in certi casi, sono indotti. Dal tipo gioco, sì, ma anche dal non giocare sempre (Meret, Donnarumma), o addirittura non giocare mai, come per il vice di Handanovic.
Carmignani, oggi nel mirino c’è Radu. Rimessa di Perisic, Gagliardini lascia, lui liscia.
Se non giochi mai non hai le sensazioni alle quali sei abituato quando vai in campo. Il suo infatti è un errore di disattenzione, non un errore tecnico, perché è impossibile che Radu non riesca a fare un passaggio come quello. È una distrazione dovuta alla desuetudine a giocare.
Le colpe però ricadono su di lui.
Avevo avuto modo di apprezzarlo al Genoa e lì, giovanissimo, era stato capace di togliere il posto a un portiere di livello come Marchetti. Quando l’Inter lo ha riscattato, prima l’ha mandato una mezza stagione al Parma, poi lo ha portato a Milano. Risultato: è due anni e mezzo che non gioca. La responsabilità è di chi gli ha fatto fare in nerazzurro appena due spezzoni inutili e una sola gara in Coppa Italia.
Anche dargli la palla quando ci sono altre possibilità non è saggio.
Questa è la diatriba classica che va avanti da alcuni anni: i portieri devono saper giocare con i piedi. Sì, certo, grazie. Ma i portieri devono soprattutto saper parare, poi è logico che debbano essere capaci di farlo, ma è un pregio in più. E anche qui: se non giochi sempre, paghi dazio.
È il caso di Meret?
Oggi gli allenatori vogliono che i portieri comincino l’a- zione da fondo campo e per questo Gattuso gli preferiva Ospina. Contro l’Empoli Meret si è incastrato in quello che doveva essere prima un passaggio, poi un tentativo di dribbling, invece si è fatto soffiare la palla e ha preso gol. Non si discute il Meret portiere, ma l’abitudine a giocare con i piedi che non ha consolidato anche perché non gioca tanto.
Eppure il portiere è lì per evitare i gol. Intendiamoci, il ruolo si completa acquisendo certe capacità, non è più come un tempo quando bastava saper rinviare. Ma a volte vengono chieste ai portieri cose complicate e così vengono messi in difficoltà.
Il gioco vale la candela?
Passarsi la palla lateralmente tra portiere e difensore non serve a niente. Cosa si risolve se la palla resta dietro la prima linea di sbarramento, quella degli attaccanti avversari? Diverso è se al portiere si chiede di superare quella linea con un passaggio, ma non è facile.
Nel dubbio?
Uno può avere dei margini di sicurezza nel costruire, mai la certezza di evitare il rischio. Ai miei portieri ho sempre detto che, in caso di dubbio, era meglio che lanciassero in avanti, poi la palla l’avremmo riconquistata lontano dalla porta.
Cambia anche l’allenamento.
Oltre alla preparazione tecnica tra i pali, nelle uscite e a quella fisica oggi si devono allenare anche altre situazioni creando i presupposti
di un’azione di gioco che coinvolga il portiere. Ma le esercitazioni hanno dei limiti e non è mai come in partita: l’esercitazione è la partita stessa. Posso allenare il piede e la tecnica, ma la partita dal punto di vista agonistico ed emotivo è una cosa diversa.
Radu ha chiuso in lacrime. Come se ne esce?
Il portiere deve saper voltare pagina immediatamente. Disperarsi e piangere non serve a niente, anzi: è deleterio. Sì, hai commesso un errore, ma lo fanno anche altri in partita: sul cross del primo gol del Bologna ad esempio c’erano tre difensori interisti ma la palla l’ha colpita Arnautovic. Si riparte senza fare drammi: i gol in cui non esistono errori da parte di chi difende sono rarissimi.
Sabato a Perugia aveva sbagliato pure Buffon.
Disattenzione anche quella, stesso errore di Radu, ma a maggiore distanza dalla porta. Poi lì si può discutere sul suo tentativo di recupero, ma gli hanno passato palla da centrocampo.
Necessario?
Per alcuni allenatori evidentemente sì, per quelli secondo cui il risultato viene dopo la prestazione e la palla deve girare. Prenda Guardiola, ad esempio, anche in City-Real: quante volte la palla è stata data indietro al portiere? Questione di scelte, di mentalità. Ma io apprezzo maggiormente la concretezza. Il Real ogni volta che aveva palla cercava il contropiede per andare sempre al tiro. E così ha tenuto aperta la semifinale.