Robinson, 30 aprile 2022
Una nuova edizione de “Il sosia” di Dostoevskij
Fra i grandi scrittori dell’Ottocento, Fëdor Dostoevskij resta tuttora quello che usando un orrendo neologismo risulta “divisivo”. Un maestro come Vladimir Nabokov lo considerava un autore troppo sentimentale e prolisso; Milan Kundera – a sua volta duramente criticato da Josef Brodskij – gli rimproverava lo spirito imperialista grande russo e via elencando. Nel dibattito odierno in Italia c’era chi riteneva inopportuno parlarne in una sede universitaria e c’è chi, per contro, ricordava che fosse stato condannato a morte dallo zar (successivamente graziato e mandato ai lavori forzati in Siberia).
Ora, di Dostoevskij tutto si può dire, tranne che fosse stato un democratico e che non fosse, al contempo, un grandissimo scrittore cui il pensiero occidentale – pure quello radicale all’insegna dei valori di libertà – deve moltissimo. E basti pensare al fascino che esercitava su un autore come Albert Camus e su tutti gli esistenzialisti, ma anche per fare un ulteriore esempio, su Gustaw Herling, scrittore polacco esule a Napoli, reduce del Gulag, collaboratore e amico di Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone.
Quanto sopra è una premessa per segnalare una nuova traduzione, di Serena Prina, de Il sosia, romanzo breve, o come l’aveva definito nel sottotitolo Dostoevskij stesso, “Poema pietroburghese”, pubblicato con Neri Pozza. L’importanza di quel testo la cui prima versione è stata composta quando aveva appena 24 anni, sta nel fatto che qui l’autore comincia a sperimentare l’intuizione della doppiezza dell’animo degli umani, un’intuizione che sarà portata fino alla profonda riflessione su il Bene e il Male (più sul Male per la verità) e che lo renderà creditore appunto di tanti scrittori e filosofi del Novecento. Ma procediamo con ordine. A partire dalla trama per chi non l’abbia letto o non si ricorda quel libro. Siamo dunque a San Pietroburgo e il protagonista Jakov Petrovic Goljadkin, un funzionario di modesto rango in uno degli uffici dell’amministrazione dello Stato, scopre di avere un doppio, un sosia insomma. Il romanzo è pure una specie di viaggio, talvolta notturno, nella città, con riferimenti impliciti ad altri autori, prima di tutto a Nikolaj Gogol conIl naso ma anche ad Aleksandr Puskin e il poema Il cavaliere di bronzo. Ma la cosa principale è la convinzione del protagonista di risultare inadeguato alle regole della società in cui vive, incapace di affrontare i superiori, fallito nell’approccio alla donna di cui è innamorato. Il suo doppio invece, il sosia, che porta pure lo stesso nome, Jakov Petrovic Goljadkin, è un uomo abile là dove l’originale si dimostra deludente. Il sosia è ovviamente una proiezione della psiche del protagonista.
Il romanzo venne dato alle stampe nel 1846. E fu immediatamente stroncato dall’allora specie di papa delle lettere russe, Vissarion Belinskij, che lo considerava troppo prolisso e poco ancorato nella realtà sociale, eppure fu lo stesso Belinskij a lodare invece l’opera con cui debuttò Dostoevskij, Povera gente. Vent’anni dopo, l’autore ne pubblicò dunque una seconda versione, emendata. La curatrice e traduttrice dell’edizione di cui parliamo, ha inserito, nelle note al testo, le parti tagliate.
E così, torniamo all’idea del doppio, una delle più affascinanti in tutte le mitologie e narrazioni di ogni epoca, e fondamentale nella riflessione di stampo filosofico e psicoanalitico della modernità. Il doppio richiama quello che Sigmund Freud chiamò “il perturbante”. Il perturbante, a sua volta, è qualcosa che è stato rimosso ma che è riemerso dal nostro subconscio ( per esempio attraverso un sogno in cui affiora un nostro doppio appunto) e che ci rendespaesati, inquieti e fino ai fenomeni psichici gravi. Il perturbante, comunque, è una costante della psiche. Volendo, e dato che il saggio del padre della psicoanalisi su quel concetto risale al 1919, si potrebbe dire che Dostoevskij lo anticipò di alcuni decenni. Ovviamente, in realtà si tratta di discipline diverse, Freud si considerava uno scienziato e non certamente un letterato.
Resta però la forza di un’intuizione trasformata in letteratura e quindi in una verità. E rimane il fatto che quell’intuizione sul doppio che dimora in ognuno di noi diventa parte indispensabile di ogni pensiero occidentale, specie, quando si incarna nel personaggio di Ivan Karamazov, protagonista dell’ultimo romanzo di Dostoevskij, alle prese con il diavolo. Il diavolo si presenta come e un uomo qualunque, è parte di Ivan. E lo costringe, e costringe noi tutti, a una riflessione sul Bene che può tramutarsi nel Male. Soprattutto, Ivan si pone la domanda se il riscatto del mondo possa valere la sofferenza di un bambino. Infine. La traduttrice considera alcune parole in russo intraducibili, e le lascia in originale, con una nota di spiegazione e contestualizzazione. Funziona bene.