la Repubblica, 30 aprile 2022
Vinicio Marchioni e il teatro
Vinicio Marchioni ha lasciato la falegnameria dove restaura sedie, per venire all’appuntamento in via dei Giubbonari, a Roma. Il tempo di sedersi a un bar e i vicini di tavolo, una coppia di fidanzati, sgranano gli occhi in cerca di selfie. L’attore sorride, la serie Romanzo criminale è un’esperienza lontana, «oggi mi fermano meno, e quelli che lo fanno mi parlano anche di cinema o teatro».
Il 2022 è stato il suo anno. Premiato al Bif&st per l’allenatore del film Ghiaccio, ha chiuso il tour di Chi ha paura di Virginia Woolf? con Antonio Latella. Ha girato Siccità di Virzi, L’ombra di Caravaggio di Placido, la serie internazionale Django. «Negli ultimi due anni non mi sono fermato mai e questo mi ha dato una consapevolezza nuova, personale e professionale. Fino a prima della pandemia sentivo di dover dimostrare, avevo la smania del riconoscimento. In dieci anni ho fatto 40 film, lavorato con grandi registi e colleghi. Ora mi prendo una pausa, chiuso nella bottega di mio suocero (il padre dell’attrice Milena Mancini ndr) ». Il laboratorio l’ha usato come location Daniele Vicari, nel film girato durante il lockdown Il giorno e la notte.«Mi piace da morire l’odore quel lavoro. Mio suocero non c’è più, avrei voluto farmi insegnare di più. Il primo tavolo che ho costruito si ruppe dopo tre settimane. Quanto s’arrabbiò...». Ride, ragiona: «Malgrado abbia fatto studi “alti” sono una persona pratica, anche nel mestiere. E ho scoperto che i grandi registi lo sono, non stanno lì a dirti “fammela blu”, Virzì come Placido. In Siccità interpreto un avvocato arido, un ignavo, sempre al telefonino con l’amante. Nel film di Placido sono Giovanni Baglione, il pittore che a Roma era il principe dell’Accademia, ha portato Caravaggio in tribunale ma è stato anche il suo primo biografo. È stato bello confrontarsi con Scamarcio e Louis Garrel, girare in costume. In Django indosso l’uniforme di colonnello sudista italiano, immigrato, c’erano milioni di etnie a combattere nella guerra di Secessione». Poi, aggiunge: «In Buon viaggio ragazzi di Riccardo Milani, recito con Antonio Albanese: lui tiene un corso di teatro in carcere e io con gli altri detenuti metto in scena Aspettando Godot ». La coppia timida prende coraggio e chiede l’autoscatto. « Romanzo Criminale è stata uno tsunami di popolarità. Avevo fatto dieci anni di teatro con Ronconi, Marini, ma pareva fossi nato solo con quel set. Invece la struttura teatrale mi ha permesso di gestire il ruolo, la fatica. Un’esperienza che non ti scordi più: eravamo sconosciuti, con il coltello tra i denti e la fame di mangiarci il mondo. Vestiti anni 70, con le pistole, le macchine, le ragazze». Non ha fatto più serie: «Non ho più letto sceneggiature così belle – ammette – e il film 20 sigarette mi ha dato la patente per il cinema».
Il momento peggiore della carriera, ricorda, «è quando facevo solo teatro, ho anche pensato di tornare in Calabria per un lavoro qualsiasi. Dalla serie in poi non mi sono fermato più». La recitazione è arrivata a 22 anni, «in una scuola di teatro ho trovato una casa che mi ha ridisegnato. Prima ero un ragazzetto di periferia problematico, pieno di vizi stupidi. Potevo finire alcolizzato a vivere di espedienti. Quando dico che il teatro mi ha salvato la vita non è una frase fatta. Non mi ha dato un posto nel mondo, ma un posto dentro di me». Mentre la famiglia e due figli «mi hanno fatto scoprire che potevo essere un buon padre. L’incontro con Milena mi ha dato il miracoloso incastro su cui bisogna lavorare ogni giorno».