la Repubblica, 30 aprile 2022
Fenomeno Shein, l’e-store di abbigliamento cinese
In questo momento su Tiktok, nei reel di Instagram o attraverso i video caricati su Youtube, centinaia di ragazze e ragazzi della GenZ, molti nemmeno maggiorenni, sono impegnati in una #SheinHaul. L’hashtag identifica i filmati in cui viene esibito il bottino degli acquisti fatti sull’e-store di abbigliamento cinese Shein, in una gara a chi compra di più, a chi prova di più, a chi ha le braccia più cariche di capi. E pazienza se qualcosa non piace, lo si può rimandare indietro gratuitamente. Anzi, spiegano eccitati molti di loro, di solito Shein rimborsa l’acquisto senza chiedere la restituzione, perché gli costa meno del trasporto. Basta dare un’occhiata ai prezzi per capire le ragioni di questa politica: i top sono in vendita in media a 8 euro, i vestiti a 12, le giacche a 20, i costumi non superano i 10. Nella sezione saldi, le cifre si dimezzano.
I prezzi sono oggettivamente ridicoli, e si spiegano solo con un approccio alla moda – intesa come creatività, produzione e gestione delle risorse umane – da parte del brand che ha poco a che vedere con quell’attenzione per qualità, sostenibilità e correttezza che si dice rappresentino la priorità per i giovani d’oggi. La realtà sta nei cinque miliardi e 200 milioni di visualizzazioni su Tiktok delle #Sheinhaul, nei quasi 16 miliardi di dollari di fatturato realizzati dal marchio nel 2021, e nella valutazione che ne hanno fatto gli analisti nei giorni scorsi in vista di una probabile quotazione in borsa: 100 miliardi di dollari. Più di Zara e H&M messi assieme. Con tutto il rispetto per la GenZ e i suoi supposti valori, il vero specchio dei tempi è Shein, con i suoi guadagni spaventosi e il suo approccio cinico al settore.
Quella del colosso cinese non è fast fashion, ma ultra-fast fashion: il termine è stato coniato appositamente per spiegare tempistiche e tecniche con cui il suo fondatore, il misterioso Chris Xu – un esperto di big data e seo – dal 2013 a oggi ha trasformato un brand di abiti da sposa in una macchina gigantesca, tarandola sul mercato occidentale.
Shein non ha ufficio stile, ma un software che scandaglia social media e ricerche online per stabilire di giorno in giorno cosa far produrre dalla gigantesca rete di piccoli e piccolissimi laboratori, molto veloci e totalmente indifferenti alle regole di sicurezza sul lavoro. Sono sparsi per Guangzhou, la metropoli dove sorge il quartier generale del marchio. Le quantità prodotte di ogni capo sono sempre ridotte: se le vendite vanno bene se ne producono altre partite. Il ricambio della merce in vendita è vertiginoso, sette mila nuovi prodotti ogni giorno, per un’offerta che va dalla modest fashion ai pezzi più sexy (sui social media si fa molta ironia sugli indumenti più azzardati), passando per le taglie curvy e arrivando alle collaborazioni con Hello Kitty o alle mise da fate dei boschi.
E poi c’è la questione dei prezzi, bassissimi perfino per gli standard del low cost. Anche tagliando sulla qualità dei materiali e riducendo all’osso le spese di produzione, non si capisce come siano possibili margini di g uadagno: la risposta degli esperti è che una simile scelta ha senso solo se si parla di volumi di vendita davvero enormi. Che è esattamente quello che succede: nel 2018 Shein era il quarantasettesimo marchio più venduto negli Usa, due anni dopo la sua app è stata la più scaricata, superando anche Amazon, e ora siamo a 100 miliardi di valutazione.
Per non parlare dell’enorme risparmio su marketing e pubblicità. Ci sono sicuramente degli accordi con diversi influencer, che offrono codici sconto personalizzati da usare quando si fanno acquisti, ma quello che rende il fenomeno Shein unico è proprio l’essere nato e cresciuto tra i consumatori. Tutto è partito da un attento studio del mercato, ma poi è stato il passaparola digitale a fare il resto. Semplicemente il marchio fa leva sul sogno di buona parte di teen-ager e ventenni: un guardaroba illimitato alla portata di ogni budget. D’altronde, è stato proprio il sistema moda a generare il desiderio continuo per il nuovo e il trendy: il brand cinese si è limitato a mettersi sulla scia. E nulla, per ora, pare fermare la sua ascesa: le accuse di sfruttamento dei lavoratori ci sono da tempo, come pure quelle di stare intasando il pianeta di scarti tessili, o di prendere pesantemente ispirazione dalle collezioni altrui, Zara compreso, ma non è cambiato nulla. Anzi, il marchio è sempre più amato, come dimostra il successo del talent show prodotto dal brand per gli Stati Uniti, in cui trenta giovani designer si contendono centomila dollari di premio e una collaborazione col brand: il regno di Shein sembra solo agli inizi.