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 2022  aprile 30 Sabato calendario

Boris Becker in carcere per bancarotta

Nel giorno del giudizio ha messo la cravatta di Wimbledon, a righe verdi e viola. Come simbolo di una gloria che tempo ed errori hanno spazzato via. Boris Becker è stato condannato per bancarotta fraudolenta a due anni e mezzo di carcere dal tribunale di Southwark, sud di Londra. Dovrà scontare almeno metà della pena dietro le sbarre, il restante periodo sarà invece in regime di semilibertà. 
Nel pronunciare ieri la sentenza il giudice, Deborah Taylor, ha sottolineato come l’ex tennista «non abbia ammesso la sua colpa o provato rimorso. C’è stata da parte sua una totale mancanza di umiltà». Becker (rischiava 7 anni) è stato ritenuto colpevole per quattro dei 24 reati fiscali per cui era finito sotto processo nato per prestiti mai ripagati alla banca privata Arbuthnot Latham (3,6 milioni di euro) e a un uomo d’affari inglese (altri 1,6 milioni). Non solo: non ha dichiarato una proprietà immobiliare in Germania e, per nascondere denaro ai creditori, lo ha trasferito su conti di altre persone, nella maggior parte dei casi familiari.
All’udienza – in cui il p.m. ha definito la sua condotta «deliberata e disonesta» – Becker, 54 anni e sei titoli dello Slam (di cui tre a Wimbledon), è arrivato mano nella mano con l’attuale compagna, Lilian de Carvalho Monteiro, a cui aveva appena comprato un mazzo di fiori. Elegante ma teso, cappotto blu a coprire l’abito grigio, il viso arrossato sotto i capelli biondo platino, ben dritti in testa. Si è portato anche un borsone verde militare della Puma, strapieno di vestiti. Con lui pure il figlio maggiore Noah, avuto dalla prima moglie Barbara. 
Una delle cause del fallimento, secondo il suo avvocato, Jonathan Laidlaw, che ha provato a evitare il carcere al vecchio Bum Bum dicendo che i soldi sono finiti non per alimentare uno stile di vita sopra le righe, ma piuttosto per le spese legate al divorzio e al mantenimento dei quattro figli. «Quest’uomo ha oramai la reputazione in pezzi – ha detto —. Non avrà più alcun contratto su cui guadagnare, ha già pagato quello che gli spettava». Evidentemente non abbastanza.
Da sempre controverso nel rapporto con soldi e legge, Becker si è affidato di nuovo alle persone sbagliate, che hanno gestito il suo patrimonio (oltre 45 milioni di euro guadagnati solo in carriera) in modo «caotico». Tante le zone grigie della vicenda, tra cui il tentato ricorso, nell’estate del 2018, a una presunta immunità diplomatica in quanto consulente della Repubblica Centrafricana per lo sport nell’Unione europea. Una carica mai esistita.
Eppure sembrava essersi rilanciato Boris quando, tra il 2013 e il 2016, si è seduto nel box di Novak Djokovic, allenatore insieme al fido Marjan Vajda. Riflessivo e furbo, attento e complice, ha saputo far crescere il serbo nell’eterno duello con Federer e Nadal, portandolo a vincere sei Slam. Anche consulente della federtennis tedesca, si è fatto pian piano accerchiare dalle ombre. Fino al fallimento, dichiarato nel 2017. Non è servito, un paio d’anni dopo, vendere all’asta oltre 70 cimeli conquistati in carriera: ha raccolto circa 750 mila euro, poco per arginare l’onda di debiti che lo aveva già travolto.
Recidivo, nel 2002 era stato condannato dal tribunale di Monaco di Baviera a due anni di reclusione con la condizionale per evasione fiscale per 1,7 milioni di euro. Un precedente che nella sentenza di ieri ha avuto peso. «Non hai ascoltato l’avvertimento che ti è stato dato allora – le parole del giudice – e questa è un’aggravante significativa». 
Alle porte del carcere, campione alle corde, pochi giorni fa Becker ha incontrato un regista di documentari, George Chignell, con il quale sembra stia pensando di girare un film sulla sua vita. Amori ed errori, cadute e trionfi. Lo rivedrà in poltrona con la cravatta di Wimbledon sul petto.