Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 30 Sabato calendario

Macron e Le Pen visti da Houellebecq

Nei sondaggi, ho sempre sentito una certa affinità con gli agnostici assoluti, quelli che dopo avere esaminato, e senza dubbio soppesato, tutte le opzioni proposte sbarrano ogni volta l’ultima casella: «Non si pronuncia». 
Per quest’ultima elezione, un istituto di sondaggi francese, non ricordo quale, ha innovato proponendo, in risposta alla domanda «Andrà a votare domenica prossima?», dopo le classiche Sì e No una terza risposta così formulata: «Lo prendo in seria considerazione». 
«Lo prendo in seria considerazione». Ecco qualcosa che fa riflettere. Come se il comportamento normale, saggio e prevedibile fosse d’ora in poi l’astensione, ma rimanendo concesso al cittadino, al termine di una difficile riflessione personale, di fare valere una clausola di mancato rinnovo. 
Riguardo a queste elezioni, sarò costretto ad auto-congratularmi un po’ facendo osservare che, finora, tutto succede come previsto nel mio ultimo romanzo (Annientare, La Nave di Teseo, 2022). Era facile, è vero: diciamo che si è trattato di una profezia minore. 
Compenserò questo momento di immodestia tessendo una corona di lodi allo Spiegel. Questa splendida copertina è apparsa al momento del mio ultimo soggiorno in Germania, in occasione della Fiera del Libro di Francoforte, che è stata l’occasione della mia ultima vera intervista, con domande e risposte etc. (anche quella nello Spiegel, del resto). La bellezza di questo Ich bin nicht arrogant («Io non sono arrogante», ) deriva dal fatto che la foto dice esattamente il contrario, ma anche dal fatto che una contro-verità assoluta, pronunciata con aplomb sufficiente, può produrre, al di là di un primo stupore, qualcosa di simile a una rivelazione. 
Ne abbiamo avuto un altro esempio, più di recente, in Francia, quando Marion Maréchal Le Pen ha affermato in un’intervista (compiacendosene) che le persone «non votano più in funzione dei loro interessi, ma delle loro convinzioni». Poche frasi altrettanto false sono state pronunciate in Francia, negli ultimi anni, da una personalità pubblica. Il voto è sempre stato, più o meno, un voto di classe; ma non lo era mai stato a tal punto. Sul piano sociologico, la lezione delle elezioni è di una chiarezza assoluta, e può riassumersi in una frase: i ricchi votano Macron, i poveri votano Le Pen, quelli in mezzo votano Mélenchon. È una griglia di lettura, semplice, brutale, e funziona alla perfezione. 
Sul piano delle «fasce di età», bisogna essere appena un po’ più sottili. Il mio amico Jean-Pierre Dionnet mi riassumeva una volta la vita adulta in tre fasi. Nella prima (corrispondente alla carta di riduzione giovani delle ferrovie, e di altri organismi), ci si gode la vita, ci si diverte, etc. Dura più o meno fino ai 26 anni. Nell’ultima fase («carta senior»), a partire dai 60 anni, ovvero un po’ meno dell’età della pensione nel momento in cui scrivo, le cose in linea di principio sono uguali: ci si gode la vita, ci si diverte (beh, meno in effetti; si fa un po’ finta). Tra queste due fasi, c’è l’età seria della vita. Si lavora, o ci si prova; si fa funzionare il mondo, o ci si prova. Alcuni tentano di avere successo, altri fondano una famiglia, talvolta entrambe le cose. Insomma, ogni giorno non è uno spasso. 
I giovani votano Macron o Mélenchon, i vecchi votano Macron; quelli che lavorano votano Le Pen. È vero, o quasi; ma il più importante, il più decisivo, resta il voto di classe. 
A forza di insistere sulla nozione di classe rischio di essere accusato di eccessiva sottomissione ai concetti marxisti; non è del tutto falso, ma introduco una sfumatura. Esiste un fenomeno, del quale Marx non capiva quasi nulla, fenomeno trascurabile dal punto di vista sociologico, ma talvolta fondamentale negli individui (e l’elezione presidenziale consiste, prima di tutto, nell’eleggere un individuo), che è quello del tradimento di classe; e noi ne abbiamo avuto, nel corso dell’ultima elezione, due esempi spettacolari. 
Cresciuta nell’opulenza, dopo una giovinezza da frequentatrice di night club (non proprio il jet-set, ma non ci siamo lontani), Marine Le Pen è stata colta dalla rivelazione presso i poveri di Hénin-Beaumont. È un fenomeno che si è verificato più volte nella storia: san Francesco d’Assisi, san Vincenzo de’ Paoli, etc. Senza puntare così in alto, Marine Le Pen si è accorta che le piaceva di più chiacchierare con una cassiera del Lidl che tornare a passare il pomeriggio nella proprietà del padre. Marine Le Pen ha tradito la sua classe sociale di origine. 
Eric Zemmour ha percorso il cammino inverso. Nato in una di quelle famiglie di ebrei obbligati dalla necessità a sopravvivere in mezzo ai musulmani (ne resta qualcuno, sempre meno, ma ne resta), si è ubriacato della frequentazione dei ricchi, degli importanti e dei celebri; più di recente, ha provato la gioia di suscitare entusiasmo nelle folle di giovani. Questo era, in effetti, inatteso e meraviglioso, e può essere scusato, ma Zemmour è stato nondimeno all’origine di un fenomeno che non renderà più semplice la situazione del nostro infelice Paese. Da tempo in Francia avevamo due sinistre irriconciliabili (pro e contro woke, per semplificare); la destra cercava di recitare il ruolo della coppia che resta insieme per i figli, ma non aveva figli. Eric Zemmour ha forse creato le condizioni per la nascita di due estreme destre irriconciliabili; cosa che sarebbe una vera novità. Ma il pubblico non si inganni: una parte e l’altra dirà un sacco di stupidaggini; ma la vera opposizione sarà, come sempre, un puro e semplice conflitto di classe. 
Marion Maréchal Le Pen, per esempio, non ha mai tradito la sua classe sociale. 
Abbiamo appena offerto all’opinione pubblica internazionale, che ha la bontà di seguire le nostre dispute, uno spettacolo ben mediocre. È abbastanza normale: quando il risultato è acquisito in anticipo, diventa difficile interessarsi alla partita. Non so se le previsioni del mio romanzo si avvereranno; tornare a demonizzare il Rassemblement national sarà sempre più difficile, ci sono forse (o forse no) dei limiti alla stupidità della gente. Posso solo promettervi una cosa, caro pubblico tedesco: faremo di meglio nel 2027. E posso aggiungere (cosa meno allegra) che la riconciliazione non è, da noi, all’ordine del giorno. 
© Copyright Der Spiegel e Corriere della Sera