Avvenire, 29 aprile 2022
Il punto sull’economia russa (che non se la passa bene)
Il presidente russo, Vladimir Putin continua a mettere in guardia l’Occidente sulle possibili conseguenze del conflitto in Ucraina. Ma in Russia la situazione economica non è delle migliori e continua a peggiorare con il passare delle settimane. A preoccupare ci sono soprattutto alcuni indicatori macroeconomici fondamentali, prima fra tutte l’inflazione. Rosstat, l’Istat russo, ha messo in guardia sulle conseguenze che l’inflazione ha avuto sul reddito reale disponibile. A preoccupare c’è il divario fra uscite ed entrate dei consumatori nel periodo fra gennaio e marzo con circa 231 miliardi di dollari in uscita contro i 213 in entrata. Un passivo ancora più accentuato dal fatto che le stime sull’inflazione sono pessime, come quelle sulla crescita, con tutte le ricadute sul reddito disponibile, ossia il reddito calcolato al netto dell’inflazione. A pochi giorni dagli avvertimenti della Banca centrale, il secondo monito è arrivato da Alexeij Kudrin, presidente della Corte dei Conti della Federazione Russa e più volte indicato come anima di un mondo riformista più volte inascoltato da parte del presidente Putin e del suo cerchio magico. «Si tratta di una crisi ancora più grossa di quella del 2009 o di quella determinata dalla pandemia», ha detto ai giornalisti, spiegando che i contraccolpi dell’operazione militare speciale si faranno sentire sull’economia e sulla società russe per i prossimi due anni.
Ma ieri in Russia è arrivata un’altra cattiva notizia, che va a colpire una delle locomotive economiche del Paese: la produzione di petrolio. Stando a quello che ha dichiarato il ministro delle Finanze della Federazione Russa, Anton Siluanov, la produzione di petrolio nel 2022 potrebbe calare del 17%, raggiungendo così il valore più basso degli ultimi 18 anni. «È difficile capire come andranno le vendite da qui a fine anno», ha premesso il titolare del ministero
delle Finanze, specificando che la Russia al momento produce 9,1 milioni di barili di greggio al giorno contro gli 11 da inizio conflitto, il valore più basso dal 2004, e aggiungendo che provvedimenti internazionali sull’acquisto del petrolio e del gas russo potrebbero avere conseguenze “catastrofiche” sull’economia.
Le rassicurazioni del presidente Vladimir Putin, secondo il quale possono essere trovati mercati alternativi a quello europeo per la vendita del gas, rassicurano solo fino a un certo punto e di sicuro non riescono a compensare il divario creato dalla mancanza di business occidentale nel Paese. A pochi giorni dalle dichiarazioni del sindaco di Mosca, Sergeij Sobyanin, che ha parlato di una perdita di 200mila posti di lavoro nella sola capitale a causa del ritiro di molti marchi dal mercato russo, i due aeroporti principali hanno fatto sapere che taglieranno in modo drastico il personale. Il primo è stato Sheremtyevo, il maggiore scalo russo, che già da inizio aprile ha ridotto il personale del 20%. Due giorni fa, Vnukovo, il secondo aeroporto di Mosca, ha annunciato di aver messo in cassa integrazione 2mila lavoratori, quindi circa un terzo della forza lavoro, sottolineando che la situazione potrebbe peggiorare nel medio termine se non cambieranno le circostanze contingenti.
Leggermente migliore la situazione a Domodedovo, il terzo scalo di Mosca, concentrato più sulle tratte interne e dove comunque molti lavoratori sono stati sottoposti al regime di part-time. Misure drastiche, conseguenza della decisione di Mosca di vietare i cieli russi a 36 compagnie aeree internazionali, dopo che questi hanno bandito i voli dei vettori russi, fra cui la compagnia di bandiera Aeroflot.